Da Sofia (Bulgaria) a Sarajevo (Bosnia), 12 e 13 aprile 2019

Esco presto dall’ostello di Sofia e raggiungo a piedi la metro che sta poco distante da lì. Alla stazione degli autobus ci sono diversi uffici con le vetrine piene di indicazioni di luoghi raggiungibili in pullman: Istanbul, Tirana, Belgrado, Austria, Germania, Francia Lussemburgo, Ungheria, Italia.

Il pullman parte in orario: guardo fuori dal finestrino. La periferia di Sofia è piena di palazzi alti e anonimi, ma, poco più fuori, si vedono molte aree verdi, intervallate da grandi centri commerciali, grosse falegnamerie, capannoni, grosse costruzioni standard di case e negozi, concessionarie di auto. Sopra gli edifici, emergono le grandi firme delle multinazionali: Metro, Oulet, Renaut, Citroen. Compaiono, più avanti, campi arati e verdi, con distese di superfici coltivate che arrivano fin sulle cime dei colli. Poi, si vedono delle fitte pinete e dei boschi di latifoglie con le foglie appena spuntate. Siamo a Kalotina, al confine tra la Bulgaria e la Serbia. Qui sono fermi diversi pullman e moltissimi grossi camion che trasportano merci. All’uscita dalla Bulgaria dobbiamo scendere con il passaporto soltanto, mentre a quello della Serbia ce lo sequestrano e ce lo riconsegna l’autista, dopo circa mezzora. La Serbia è tutta verdeggiante, con alberi, prati verdi e distese di  campi gialli di colza. Ci sono parecchi frutteti in fiore e diversi vigneti, allineati e potati. Qui, si alterna il percorso tra il paesaggio di montagna e quello di vaste pianure. Compaiono le case con i tetti a spiovente: sono abitazioni per lo più unifamiliari o delle piccole palazzine, sparse. Non mancano le chiese: tozze e spesso a righe, verticali o orizzontali, con il campanile dipinto con gli stessi colori, ma basso e largo. Il pullman prosegue con calma, si ferma con largo margine di tempo in due aree di sosta. Siamo in ritardo di quasi due ore rispetto all’orario previsto, ma l’autista non si preoccupa. Lo informo che ho la coincidenza a Belgrado, per Sarajevo alle 16:00 e lui mi rassicura che arriveremo là per le 15:00. Invece, con mia grande ansia, arriveremo alle 15 e 54 minuti, appena in tempo per prendere al volo il pullman, che partirà in tutta fretta, un minuto prima delle 16:00. Usciamo da Belgrado con l’immagine di una grande fabbrica Ikea scritta su un palazzo, un’insegna Emmezeta, un’altra DM e un’altra ancora Huawei. Attraversiamo un ponte sul Danubio e lasciamo alle nostre spalle gli alti palazzi della città. Già sul pullman per Sarajevo, l’atmosfera è diversa da quella della Bulgaria. Qui la gente ti parla, ti sorride: è decisamente più disponibile a relazionarsi. Alle 19:00 usciamo dalla Serbia. Di nuovo, sequestro dei passaporti e riconsegna allo stesso modo dell’entrata nel Paese. Alla frontiera bosniaca, che sta proprio di fronte ad una grande chiesa a strisce verticali, bianche e marrone, ci controllano lasciandoci sull’autobus. Attraversiamo anche qui distese di campi intervallati da industrie e case. Qui, le tegole dei tetti sono piane e le abitazioni piccole e staccate le une dalle altre. Attraversiamo un ponte con un grandissimo fiume che poi fiancheggeremo per diverso tempo. E’ la Sana, mi dice un ragazzo che più tardi mi aiuterà a cambiare i soldi in marchi e a prendere il taxi ad un prezzo abbastanza onesto.

aspetti

Sarajevo, 13 aprile 2019. Il centro storico. Sullo sfondo, la torre che segna l’ora del tramonto.

L’ostello di Sarajevo è grazioso e molto accogliente. C’è anche la cucina e tutto il necessario per cucinare. Stamattina mi aggrego a Rebecca, la ragazza finlandese che sta nella mia camera: andremo a due giri diversi in città, con guida gratuita. Al mattino c’è Nema, un ragazzo, che ci parla della storia di Sarajevo partendo dal V secolo, quando Sarajevo non era altro che un insieme di villaggi raggruppati intorno al mercato e ad una fortezza.

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Sarajevo, 13 aprile 2019. La zona pedonale con sullo sfondo la vecchia fontana.

La fondazione della città, però, risale al 1461, quando gli ottomani trasformarono i villaggi in una città. Loro, influenzarono molto la cultura della Bosnia, in particolare perchè portarono qui la religione islamica. Usufruirono, però, anche di diversi elementi di questa cultura: i caratteristi “cevapcici”, il caffè, l’abilità nel costruire archi, i costumi tradizionali e presero anche alcuni elementi della lingua. Nel 1669 la città venne bruciata e rasa al suolo dal principe Ferdinando di Savoia che aveva condotto una spedizione contro gli ottomani. La città fu ricostruita in seguito, ma non si riprese mai completamente dalla devastazione e la capitale venne spostata a Travniìk. Dal 1878, per quarant’anni, ci furono gli austro-ungarici che occuparono la Bosnia: costruirono molti edifici e aprirono delle moderne industrie.

Hisilicon Balong
La zona del mercato.

Nel 1914 a Sarajevo ci fu l’attentato all’arciduca d’Austria Francesco Giuseppe e a sua moglie, evento che scatenò la prima guerra mondiale. Nema ci descrive dettagliatamente  i momenti che precedono questo attentato, sia nei movimenti dell’attentatore sia in quelli del sovrano e della moglie. A Sarajevo ci fu, poi, un monarca serbo e di seguito, nel 1940, quando la Germania occupò la zona, il re si rifugiò a Londra e fu il maresciallo Tito a liberare  il Paese. Tito fu eletto presidente e rimase in carica per 45 anni con una forma di comunismo non dipendente dalla Russia. Controllò le etnie slave e i diversi gruppi politici e culturali, elevò economicamente la Nazione e organizzo la struttura militare del Paese. Il momento di massima crescita della città si ebbe negli anni ottanta, quando, a Sarajevo, ci furono i giochi olimpici invernali.

I segni della guerra

I segni della guerra 1992-1995.

Nel 1992 , il 6 aprile, scoppiò una guerra civile, provocata dai serbi della Bosnia che volevano la separazione dal Montenegro. L’iniziativa era sostenuta dal presidente Milosevic. Ci furono 45 mesi di guerra atroce, fino all’ottobre 1995. La guerra è stata orribile, ha portato alla distruzione di quasi tutti gli edifici storici della città, ma secondo Nema, la guida, è stata una guerra importante.

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Moschea Alì Pascia, del XVI secolo.

Oggi, la Bosnia è divisa in tre regioni con un governo ciascuna, più un’amministrazione centrale. I partiti di governo sono formati da: serbi, bosniaci e croati, che non riescono mai a trovare un accordo tra loro. Le tasse nel paese sono sempre più elevate: il 60% degli introiti se ne va per le spese dei politici e soltanto il 40% viene gestito per la popolazione. Dopo la guerra civile, in tutta la Bosnia, c’è stata una fortissima emigrazione verso il Nord Europa, in particolare in Germania.

Cathedral of Jesus Sacred Heart, 1889.

La cattedrale cattolica del Sacro Cuore di Gesù, 1889.

Ci sono diverse chiese e moschee nella città; c’è anche una sinagoga, la sola in Bosnia. Qui, gli ebrei, secondo la guida, sono diminuiti notevolmente: ora, a Sarajevo se ne contano circa 600.

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La Bublioteca Nazionale.

Nema ci accompagna tra le varie costruzioni del centro storico ottomano e tra i palazzi di impronta austriaca, ora ricostruiti e trasformati in scuole, caserme e musei. Tra le varie costruzioni che la guida ci mostra, c’è anche un palazzo particolare, coloratissimo e molto moderno.

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Il palazzo moderno.

Passiamo davanti ad un birrificio del IX secolo sorto dove c’era una sorgente dalla quale la gente poteva attingere l’acqua. Il birrificio continuò a lavorare anche durante la guerra civile. Proseguiamo il giro guardando dall’esterno la moschea più importante di Sarajevo, quella di Alì Pascia, costruita nel XVI secolo, sotto l’Impero ottomano.

vecchia birreria

La vecchia birreria.

Di fronte alla moschea c’è il Vecchio mercato, ora, in parte, trasformato in museo. Lì vicino c’è una torre che segna l’ora del tramonto, ogni giorno diversa. Più in là c’è la cattedrale cattolica cristiana del Sacro Cuore di Gesù.

Ponte latino , XVI sec, sul fiume Miljacka

Il ponte latino del XVI secolo, sul Fiume Miljacka.

Nell’uscita del pomeriggio, ci guida una ragazza per parlarci dei luoghi della guerra. I militanti sparavano dalle colline, al di là del fiume, da dove tenevano il controllo della città.

Hisilicon Balong
I segni della guerra.

Nel dicembre 1992, una bomba provocò 11 mila morti. Nel mercato degli agricoltori nel 1992 un’altra bomba uccise 607 persone. In un parco vediamo una fontana monumento, con intorno le impronte dei familiari delle vittime. Di fronte ci sono dei cilindri ruotanti con sopra incisi i nomi dei morti tra il 1992 e il 1995, “ma”, ci dice la guida,  “era difficile contenerli tutti e, probabilmente, ne mancano diversi”. Poco distante da questi elementi scorrono numerose, nel prato del parco, le tombe ottomane, risalenti a 400 anni fa, uno dei pochi elementi antichi rimasti integri nella città.

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Sarajevo, 13 aprile 2019. Panorama verso le colline.

La guida, ci mostra delle fotografie: in una c’è una donna con un bambina che sta camminando a fianco di un carro armato che sostava nella piazza, bersaglio delle sparatorie. Era un luogo pericolosissimo e il carro armato stava lì, per offrire cibo e aiuto alla gente. In questo episodio il mezzo si stava muovendo lentamente per coprire la madre e la bambina ed aiutarle ad attraversare la piazza.

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Monumento con le impronte dei familiari dei caduti durante la guerra.

Un’altra foto rappresenta una giovane coppia sorridente. La guida ci racconta che loro avevano dato dei soldi ai serbi per poter attraversare il ponte, ma dei mercenari russi o serbi, li ammazzarono ugualmente.

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Il palazzo del presidente.

Anche questa guida ci parla delle difficoltà politiche di questo governo e della grossa spesa che viene impegnata per mantenere in vita tutti questi livelli politici inconcludenti. La Bosnia, entrerà nell’Unione Europea soltanto nel 2037.

Il caffè con Rebecca, Finl

Il caffè con Rebecca.

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