Ritorno in India, ritorno a Varanasi.

6 e 7 aprile 2015
Arrivo alla stazione ferroviaria di Varanasi insieme ad una giovane coppia di Marsilia: lui ha 28 anni e fa il cuoco, lei 26 ed è fisioterapista. Li avevo già incontrati al mio arrivo a Khajuraho, ma solo ora ci siamo aggregati per dividere la spesa del motorisciò che ci porterà nella zona di Bengali Tola. Che gioia tornare a Varanasi!

 

Varanasi, domenica in Main road.

Varanasi, domenica in Main road.

Già quando scendo dal treno i procacciatori di clienti per gli alberghi mi riconoscono e non mi propongono i loro hotel. Lì, ci sono molti indiani che attendono i clienti degli hotel con dei fogli con su scritti i loro nomi: sono ancora molte le persone che pur viaggiando in autonomia preferiscono avere la certezza della prenotazione! Lungo il percorso nella città vecchia e nei pressi della mia abituale guesthouse mi riconoscono e mi chiedono notizie di mio figlio. Rispondo loro che sta ancora in Nepal e che arriverà qui nei prossimi giorni. Insieme ai due ragazzi arrivo alla guesthouse dove ci accolgono con molta familiarità. Il tempo per rinfrescarci un po’ e poi via a pranzo nei miei celebri ristorantini per un thali e una bibita fresca. Tutte le mie critiche e il mio boicottaggio a queste multinazionali l’ho messo da parte per ora! Fa troppo caldo qui e sono troppo assettata! Una sosta alla mia tea-stall ed un saluto alla stiratrice e poi, via, insieme ai due nuovi amici, a goderci l’atmosfera incantevole dei ghat.

Varanasi, panorama dal Chousatti Ghat del temporale con forte vento che sta arrivando dall'altra sponda del fiume.

Varanasi, panorama dal Chousatti Ghat del temporale con forte vento che sta arrivando dall’altra sponda del fiume.

Qui, incontriamo altri francesi e una ragazza di San Pietro di Cadore che pur avendo soltanto 28 anni ha una grande cultura del viaggiare e diverse esperienze come infermiera di strada. Ha lavorato con un’associazione umanitaria ed ha frequentato molti corsi di meditazione. Con lei, in particolare, ho un bellissimo scambio di informazioni: su libri, documentari e film riguardanti l’India.
Con i due miei compagni di viaggio e con la ragazza italiana ci diamo appuntamento nello stesso posto per il giorno dopo alle 12.00, ma non riusciremo ad incontrarci. Nel frattempo, però, rivedo Alkesh, il ragazzo di origine indiana che vive a Londra con il quale ho condiviso il mio viaggio da Orkamesvar a Bundi. Ci eravamo dati appuntamento via sms al Dasaswamedh Ghat e siamo stati felici di rivederci. Pranziamo insieme al solito ristorantino e prendiamo il the alla mia
solita tea-stall. Si unisce a noi un giovane abitante di un’isola francese del Canadà: ha 22 anni, è laureato in scienze della comunicazione ed è in attesa di iniziare un master nella sua città. Trascorriamo molto tempo insieme, condividendo profondi silenzi, lungo la riva del Gange.

Varanasi, la foto ricordo.

Varanasi, la foto ricordo.

Tutti i ghat mi paiono diversi rispetto ad un mese fa: ci sono molte più barche e molti più turisti, la maggior parte sono francesi, spagnoli e qualche inglese. Anche le decorazioni e la pulizia lungo i ghat sono aumentate, insieme all’aggiunta di qualche ringhiera sulle terrazze che a tratti si sporgono sul fiume. Mentre siamo seduti all’ombra di un ombrellone fatto di stracci e bambù, arriva il venditore di flauti che conosco da tempo. Ci racconta che, negli ultimi tempi, è stato a Goa, Manali e a Rishikesh e nel complesso ha concluso dei discreti affari. E’ musulmano, una religione che comprende il 31% degli abitanti di Varanasi, mentre il 65% rimane induista. Ci sono poi: 1% di cristiani, 1% di buddhisti, 2% di sikh. Parlando, poi, dell’India in generale, ci dice, che c’è una grossa corruzione: cioè, dando dei soldi ai poliziotti riesci ad ottenere qualsiasi licenza o a fare in modo di non avere ostacoli. Ci sono anche degli omicidi che passano tacitamente inosservati dietro il pagamento di forti somme di denaro ai poliziotti. Su questo genere di corruzione, avrò modo di appurarne la veridicità proprio nei giorni successivi, attraverso il racconto che mi farà Sonu, il mio amico barcaiolo del Chausatti Ghat. Il venditore di flauti ci spiega, inoltre, che un mercato molto spontaneo qui a Varanasi, ma in tutta l’India, è quello che riguarda l’hashish e l’eroina, un traffico che i poliziotti lasciano agire liberamente. Questo mercato è particolarmente diffuso tra i bramini, ma anche tra i musulmani i quali si dedicano sia allo spaccio sia al consumo. Esiste inoltre, secondo il racconto di questo venditore di flauti, una vera e propria mafia tra gli albergatori e i negozianti islamici e induisti, che si manifesta con una violenza che spesso sfocia in omicidi. Molti di questi crimini vengono coperti con forti compensi alle forze dell’ordine. Rimasta sola sui ghat, mi viene da pensare che dietro questa diffusa e sentita religiosità indiana si nasconda una società violenta e corrotta, che non esita ad ammazzare e nello stesso tempo a rimanere fedele ai rituali della sua religione.

Varanasi, gruppo di guru lungo i ghat.

Varanasi, gruppo di guru lungo i ghat.

Alla sera torno sui ghat a leggere e poi ceno seduta su un gradino con le melanzane impannate e le polpette vegetali acquistate dalla signora che frigge in strada masticando le foglie di betel. Sulla stradina, accanto al mio gradino-ristorante m’imbatto in uno sbarramento per la puja: c’è un fuoco acceso, le bandierine in alto che sventolano, dei fedeli che cantano i mantra. Per passare di lì bisogna rispettare il senso unico alternato e camminare rigorosamente a piedi scalzi.

Varanasi, rasatura dei pellegrini del sud.

Varanasi, rasatura dei capelli ai pellegrini del sud.

8 aprile
Sono in attesa di Simone che non si vede ancora. E’ in arrivo dal Nepal! Qui i treni portano sempre un gran ritardo e non c’è mai nessun orario certo. Arriverà verso le 8 di sera! C’era uno sciopero degli autobus in Nepal e ci sono stati diversi disguidi con i mezzi durante il viaggio. Andiamo insieme a cena anche se io mi son già mangiata due polpette di verdure in strada.
9 aprile
Le polpette forse quelle, mi han fatto passare una notte terribile e stamattina sono senza forze. Sono rimasta a letto tutto il giorno, dormicchiando, bevendo del tè al limone e prendendo delle medicine ayurvediche. Mi mancano tanto i ghat, la gente che incontro solitamente, con cui chiacchiero e mi fa apprendere sempre cose nuove. Speriamo che domani vada meglio!

Varanasi, old town nei pressi del Ram Ghat.

Varanasi, old town nei pressi del Ram Ghat.

10 aprile.

Sto meglio e vado a camminare per le stradine della città vecchia. In un ristorante vedo Alkesh che sta facendo colazione e mi siedo un po’ con lui. Eravamo già d’accordo di incontraci alle 13.00 nella mia guesthouse per andare a pranzo insieme a Simone. Nel tardo pomeriggio vado da sola al Chausatti Ghat. Lì c’è una truppa di turisti che, dietro compenso, sta fotografando uno dei sadhu che gironzolano qui. Fotografo anch’io questa bellissima scena e mentre sono presa dagli scatti finalmente riesco a riconoscere Sonu, il barcaiolo che avevo conosciuto a settembre e non riuscivo più a trovare. Ci eravamo incrociati più volte, mi racconta lui, ma io non l’avevo riconosciuto: si era rasato i capelli che erano un punto di riferimento per me! Mentre stavamo parlando arriva suo fratello con un turista da portare in giro in barca e ci lasciamo. Poco dopo si siede accanto a me una ragazza belga di 28 anni: fa l’infermiera professionale in un ospedale, ma ora sta trascorrendo un periodo sabbatico di 7 mesi. In Belgio, ma non solo là, è possibile interrompere il servizio e riprenderlo dopo un periodo di tempo concordato. Alla sera sono rimasta in guest house, mentre Simone andava al Tempio delle Scimmie per un concerto del Festival della musica. Alkesh, invece, andava alla cerimonia serale del Kedar Ghat.

Varanasi, sera al Kandar Ghat.

Varanasi, sera al Kedar Ghat.

11 aprile
Sto trascorrendo diverso tempo tra i guru e i bramini del Dasaswamedh ghat. Sono seduta sotto l’ombrellone, sul palco dove ha l’altarino un giovane guru. La sua famiglia, mi racconta, appartiene alla casta dei bramini da 500 anni: ha frequentato la scuola per bramini prima e per guru in seguito nella città di Jhansi. Mi conferma che molti dei personaggi vestiti da sadhu oppure con degli abiti bianchi sono soltanto delle persone che sfruttano quel ruolo per chiedere dei soldi alla gente. Accanto a noi c’è un anziano che si definisce guru: dopo aver fatto il bagno nel fiume si pettina la barba, si spalma la crema, si massaggia tutto il corpo e fa degli acrobatici esercizi ginnici. Dopo un po’, mi si avvicina portandosi più volte la mano alla bocca per chiedermi dei soldi per comprarsi da mangiare. Gli rispondo che proprio lì, a due passi, sulla Main road, accanto al tempio, distribuiscono gratuitamente i pasti per ben due volte al giorno!

Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Guru che si ritocca il trucco.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Guru che si ritocca il trucco.

Verso sera torno a camminare sui ghat: i momenti del tramonto e quello dell’imbrunire sono splendidi qui. Centinaia di barche cariche di pellegrini indiani e altre con qualche turista straniero fiancheggiano i ghat e vanno fino al Pandhey Ghat; poi ritornano percorrendo il fiume attraverso la sua parte centrale. Alcune coppie giovani preferiscono raggiungere l’altra sponda, fermarsi un po’ sulla spiaggia e poi tornare. Al Chousatti ghat c’è sempre il mio amico barcaiolo che cerca di catturare i turisti per portarli in barca. Questa sera è già fuori suo fratello, con una coppia di fidanzati e, in questo caso, mi informa, l’uscita dura molto a lungo. Non ci sono molti turisti stranieri, in questo periodo, mi racconta Sonu, e quindi il lavoro è piuttosto modesto. In ogni stagione, però, non mancano le turiste anziane disposte a pagare grosse somme di denaro a dei giovani, in cambio della loro compagnia e delle loro prestazioni sessuali. Sonu, il barcaiolo, ha 24 anni e sua madre abita in un villaggio a 80 kilometri da Varanasi. Vive con un altro figlio e una figlia più grande. La casa dove abita la madre è di sua proprietà ed è per questo motivo che lo zio di Sonu ha ucciso il proprio fratello, suo padre. Il fratello di Sonu che sta qui a Varanasi fa la guida turistica per un hotel. Entrambi i fratelli lavorano dall’alba a notte inoltrata, senza mai concedersi dei giorni di riposo. Sonu ha comprato un appezzamento piccolissimo di terreno vicino all’Harishchandra Ghat, il ghat più piccolo delle cremazioni. Lì, ha fatto costruire una stanza, senza finestre, senza acqua, senza corrente, per ora, dove lui e il fratello si rifugiano per qualche ora, in particolare nei mesi di dicembre e gennaio, quando la temperatura scende sotto lo zero. Il più delle volte dormono entrambi all’interno di una delle barche con cui lavorano. Tra i progetti futuri di Sonu c’è quello di affiancare al lavoro di barcaiolo quello di una tea-stall, lì, al Chausatti Ghat, accanto alle barche. Nei giorni successivi Sonu mi dirà che ha già comprato dal suo boss due delle quattro barche e che in breve tempo salderà il tutto. Le dovrà poi ridipingere in modo da attirare più clienti. Noto ha il segno di una grossa ferita che gli attraversa la gola da un orecchio all’altro e gli chiedo cosa gli sia successo. Mi racconta che due anni fa si era innamorato di una ragazza e, un suo rivale in amore ha cercato di ammazzarlo tagliandogli la gola con un rasoio. Avendo il rivale dato molti soldi alla polizia, la cosa si è risolta senza colpevoli. Sonu ha trascorso quasi due mesi in ospedale; poi, un anno e mezzo fa, di notte, aiutato da alcuni amici, ha ammazzato il suo feritore con dei pugni rafforzati da dei ferri. Per mettere subito la cosa a tacere anche lui ha dato dei soldi ai poliziotti: 40.000 rupie, l’equivalente di circa 600 euro. E la cosa è finita così.

Varanasi, sera sui ghat.

Varanasi, sera sui ghat.

12 aprile
E’ domenica e i ghat sono animatissimi di turisti, pellegrini, venditori, bramini, guru, mendicanti, fotografi, barcaioli e tanto altro. Ieri mi era tornata un po’ di nausea, ma oggi mi sento meglio! Forse per il fatto che Simone è andato a comprarmi un medicinale omeopatico in farmacia e il medico nel consegnargliela ha recitato un mantra davanti ad un’immagine della dea Kali. Forse la dea mi sta già proteggendo!
La sera vado anch’io con Simone, al concerto di musica classica indiana, che si tiene tutta la notte, al Tempio delle Scimmie, dalle parti dell’Assi Ghat. Ne seguiamo soltanto una parte e rientriamo in risciò poco dopo mezzanotte. All’interno del tempio non si possono scattare foto e si viene perquisiti all’ingresso dalla polizia. Ci sono degli armadietti dove devi depositare il cellulare e la macchina fotografica, con offerta libera. All’inizio del concerto si esibisce un magnifico suonatore di scodelle contenenti delle oculate quantità di liquidi. Di seguito ci sono due cantanti molto bravi che riescono a modulare la loro voce con delle difficilissime variazioni di tono. Tra gli spettatori c’è qualche turista occidentale, ma la maggior parte del pubblico è indiano e senz’altro appartiene alla casta medio-alta.
13 aprile
Giornata trascorsa tranquillamente a passeggio tra i ghat e nelle stradine della città vecchia. Non lontano dalla mia guesthouse ci sono degli uomini con dei pentoloni enormi che stanno friggendo e bollendo del cibo. Sono lì da stamattina per la puja del tempietto dedicato a Shiva e, oltre a celebrare il rituale, a momenti distribuiscono alla gente che passa di lì il cibo cucinato.
14 aprile
Sono anche oggi ai ghat, seduta un po’ qua un po’ là a leggere e ad osservare la gente. Oggi c’è un pellegrinaggio arrivato dal sud dell’India con tutte le donne rapate a zero. I pellegrini del sud, donne, uomini e bambini, quando arrivano qui sul Gange, si fanno tagliare i capelli a zero per offrirli al fiume sacro come gesto di purificazione.

Varanasi, nei pressi del Kendar Ghat. Interno di un tempio usato come abitazione da un sadhu.

Varanasi, nei pressi del Kedar Ghat. Interno di un tempio usato come abitazione da un sadhu.

Verso sera, mentre me ne sto seduta al Chausatti Ghat chiedo ad un sadhu che passa di lì quale fosse stato il suo percorso per giungere alla sua scelta alternativa. E’ un ingegnere sposato e con figli: 20 anni fa ha lasciato tutti i beni e il lavoro per diventare sadhu. Non ha contatti con la sua famiglia la quale non ha accettato la sua scelta. Vive di pochissima elemosina e abita all’Assi Ghat, in una stanza con altri tre sadhu. In realtà, sono sempre più convinta che i sadhu giunti ad una scelta ponderata di rinuncia della vita materiale siano molto pochi rispetto all’enorme numero di mendicanti e personaggi che vestono gli abiti arancione e chiedono continuamente e insistentemente l’elemosina. Il vero sadhu chiede soltanto quel poco che gli basta per vivere e lo fa con molta dignità. Per i sadhu, comunque, ci sono delle donazioni specifiche da parte di persone ricche ed anche dalle famiglie benestanti dei sadhu stessi.

Varanasi, incontro con un personaggio, lungo i ghat.

Varanasi, incontro con un personaggio, lungo i ghat.

15 aprile.
Passeggio lungo i ghat e mi fermo ad osservare un matrimonio arrivato ora al Dasaswamedh Ghat accompagnato dal suono dei tamburi e dalla danza di alcuni ragazzini. La sposa, come tutte le altre che ho incontrato qui a Varanasi, tiene in mano una specie di tabernacolo dorato e se ne sta nascosta dietro un mantello rosso con degli sfarzosi ricami dorati. Lo sposo porta un turbante sul capo e tiene annodato alla sua sciarpa un lembo del mantello della sposa; pare proprio trainarla attraverso questo aggancio. Dopo aver celebrato la puja, sposi, musicisti e invitati salgono su un barcone per raggiungere l’altra sponda del fiume dove le parenti donne eseguiranno un altro rituale.

Varanasi, preparazione dei cibi per la puja nuziale.

Varanasi, preparazione dei cibi per la puja nuziale.

Quasi tutte le spose vestono di rosso, ad eccezione, secondo quanto mi raccontano qui, se non sono al primo matrimonio: in questo caso possono scegliere i colori che vogliono. Secondo le informazioni che raccolgo tra la gente che incontro nei ghat, il matrimonio è un atto che si svolge in accordo tra le famiglie le quali firmano un documento che rimane sia ai parenti dello sposo sia a quelli della sposa. Il contenuto fa riferimento, in particolare, ai beni, al denaro, al titolo di studio in possesso degli sposi. Le notizie che via, via raccolgo, in particolare sui matrimoni, sono a volte sensibilmente diverse e a momenti anche in contraddizione tra loro, ma le riporto ogni volta fedelmente, così come mi vengono raccontate. Una puja nuziale, qui mi dicono, viene celebrata dal bramino il giorno prima di quella sul Gange e si svolge a casa della sposa. Per festeggiare il matrimonio, se le famiglie se lo possono permettere, danno un party con musica, danze, cibi e bevande a volontà. In India è molto difficile sciogliere un matrimonio concordato tra le famiglie per il vincolo economico che lega a vita i due nuclei.
Nel pomeriggio rimango in guesthouse per diverse ore: è scoppiato un grosso temporale con delle forti raffiche di vento. Appena torna la calma ricevo la visita di numerose scimmie che dalla finestra hanno visto le banane che ho appoggiato su una mensola. Sembra vogliano scardinare le finestre e la porta che danno sul terrazzo per entrare. Alla fine riescono a chiudere dal di fuori il chiavistello della porta e a bloccare la mia uscita da lì.

Varanasi,vista dalla finestra della mia camera. Scimmie sui tetti.

Varanasi,vista dalla finestra della mia camera. Scimmie sui tetti.

Verso sera, al ghat incontro Sonu, il barcaiolo. Giorni fa gli avevo confidato la mia intenzione di acquistare un minuscolo appartamento qui a Varanasi. Ora, anche lui mi conferma che qui in India per gli stranieri non è possibile acquistare delle proprietà: è proprio la legge che lo vieta. Questa informazione me l’aveva già fornita mio figlio e anche Raul, il proprietario della guesthouse quando gli avevo chiesto se mi vendeva una stanza con bagno! Peccato! Mi sarei proprio stabilita qui!
16 aprile
La mattinata la trascorro con un’escursione nelle stradine della città vecchia e una camminata lungo la Main road. Poi, pranzo con Simone dopo averlo incontrato nei pressi della guest house. Il pomeriggio lo dedico alla lettura e vado sui ghat. Lì, incontro un sadhu vestito di bianco e gli chiedo qualche informazione sulla sua scelta di vita: i mi racconta che è originario di un villaggio vicino a Delhi, vive qui, in un ashram per sadhu al Manikarnika Ghat, il luogo principale dove avvengono le cremazioni. Ha 58 anni ed ha deciso di diventare sadhu a 12 anni e da quel momento ha abbandonato la sua famiglia d’origine rinunciando a qualsiasi tipo di legame affettivo ed economico. Nell’ashram dove vive non deve sostenere delle speso né di vitto né per l’alloggio. Questo sadhu non parla inglese e mi fa da interprete il mio amico barcaiolo.

Varanasi, nei pressi del Lal Ghat, verso il ponte.

Varanasi, nei pressi del Lal Ghat, verso il ponte.

17 aprile
E’ una giornata molto calda, pare che il termometro abbia sfiorato i 41 gradi. In mattinata mi reco al Dasaswamedh Ghat ad osservare le coppie di sposi e gli invitati. Pur essendo diminuiti, rispetto a due mesi fa, i cortei nuziali che arrivano al Gange sono ancora abbastanza numerosi. Gli abiti della sposa sono sempre coperti da un ampio mantello rosso e sembrano tutti uguali. Gli uomini, a parte il turbante che portano tutti, indistintamente, vestono in modo diverso gli uni dagli altri: con l’abito intero tradizionale indiano o classico occidentale, oppure indossano soltanto la giacca tradizionale. Secondo quanto mi racconta Sonu, il barcaiolo, l’oggetto dorato che la sposa tiene tra le mani è il regalo dello sposo e contiene i colori con i quali lei si dipingerà la fronte tutti i giorni, come augurio a se stessa di lunga vita. Ogni cerimonia si differenzia probabilmente sulla base della condizione sociale degli sposi: c’è chi arriva con i musicisti, chi si concede un giro in barca, chi offre un pic-nik agli invitati sul Gange o chi dà un party alla sera, ma la maggior parte di loro se ne torna semplicemente a casa.

Varanasi, giro in barca sul Gange di un corteo nuziale.

Varanasi, giro in barca sul Gange di un corteo nuziale.

Al ghat principale anche oggi mi si è avvicinato il giovane barbiere che da giorni sta aspettando che mi decida a farmi tagliare i capelli. Concordo il prezzo di 50 rupie, 70 centesimi di euro e lo seguo in un negozio dove gli affittano la poltrona e l’attrezzatura. Nel pomeriggio, sul tardi, mi incammino per la stradina che porta verso sud e poi scendo ai ghat. Lì, c’è un gran trambusto, soprattutto di bambini che stanno soccorrendo, con molta dedizione, una scimmia caduta dai fili della corrente elettrica. Nei giorni successivi verrò a sapere che si è salvata: i bambini mi diranno che la scimmia dopo aver bevuto un po’d’acqua è riuscita a risalire sui tetti.
Mentre me ne sto seduta su una panca lungo i ghat, arrivano due sadhu: uno si tuffa per i fatti suoi, mentre l’altro mi racconta che ha scelto, di diventare sadhu una trentina di anni fa, a 28 anni. E’ originario di Varanasi e lavorava come medico in una clinica privata. Ha lasciato questo tipo di vita, ma ha mantenuto i rapporti con la sua famiglia. Ha delle difficoltà a camminare perché affetto da una malattia degenerativa che gli provoca dolori alle ginocchia ed è per questo che è rimasto a Varanasi, dove il clima è prevalentemente caldo. Mi racconta che vive in un ashram vicino al Dasaswamedh Ghat, dove non deve sostenere delle spese. Il suo amico, invece, abita in una stanza condivisa con altri, nei pressi del Kendar Ghat.

Varanasi, sul far della sera.

Varanasi, sul far della sera.

Andati via i due sadhu si siedono accanto a me tre studenti di 18 anni che stanno per entrare al college. Studieranno ingegneria meccanica e informatica. Uno di loro tiene in mano un libro di chimica, scritto in inglese. Mi dicono che la lingua che utilizzeranno ora al college sarà l’inglese, anche se la lingua nazionale è l’indi. Secondo loro, siccome ogni regione indiana ha una propria lingua minoritaria e non tutti parlano l’indi; quindi, necessariamente la loro prima lingua per comunicare diventerà l’inglese. Vogliono sapere di che cosa parlo con i sadhu. Dico loro che sono interessata alle biografie dei sadhu veri, a quelli che hanno scelto per vocazione questo percorso di vita. Un altro studente, poi, al Chausatti Ghat, mi racconta che ha frequentato il primo anno di scienze bancarie in quanto suo padre, un imbianchino, glielo ha imposto. Lui vorrebbe diventare cantante o comunque frequentare un corso di studi legato all’arte, ma la sua famiglia sostiene che il futuro dell’India sta nello sviluppo delle banche.
18 aprile
Passeggio verso sud attraverso i ghat e ritorno verso la guest house per le stradine della città vecchia.

Varanasi, puja al Dasaswamedh Ghat.

Varanasi, puja al Dasaswamedh Ghat.

Pranzo con Simone e poi m’incontro al Chausatti Ghat con Sonu, il giovane barcaiolo: non lo vedevo da qualche giorno. Mentre me ne sto seduta lungo la gradinata, passa di lì il sadhu che ieri mi aveva raccontato di essere un medico e di aver lasciato tutto quando aveva 28 anni. Il barcaiolo mi confida che non è tutto vero quello che mi ha raccontato: quel sadhu è il direttore di una scuola di yoga nei pressi del Dasaswamedh Ghat!
19 aprile, domenica
Oggi è una giornata caldissima! Nella mattinata, verso le 8:00, vado a camminare verso il Kedar Ghat e poi pranzo con Simone al ristorantino di Godonia, consumando il solito thali. Dopo il cjai, Simone sale su un risciò e se ne va in stazione per prendere il treno per Jammu. Da lì, con qualche mezzo raggiungerà Srinagar, in Kashmir. Verso le 16.30 ritorno sui ghat: sono affollatissimi! Incrocio il sadhu-medico che mi conferma quanto riferitomi dal barcaiolo. Mi dice che possiede una scuola di yoga al Dasaswamedh Ghat, ma non lo fa per denaro in quanto lui si ritiene sadhu. Vedremo gli sviluppi.

Varanasi, Gaay Ghat. Simboli dedicati a Shiva.

Varanasi, Gaay Ghat. Simboli dedicati a Shiva.

20 aprile
Grande camminata sui ghat, ma verso nord oggi, oltre il Manikarnika Ghat, il ghat principale per le cremazioni. Qui, i ghat sono meno affollati rispetto a quello principale. Sul lungo fiume i palazzi spiccano con i loro colori intensi e, in certi punti, si affacciano molto vicino alla riva. In qualche terrazzamento in cemento costruito a ridosso del fiume incontro diversi gruppi di sadhu e guru: stanno seduti in cerchio e fumano tranquillamente marjuana passandosi l’un l’altro una pipa di terracotta. Mi siedo un po’ a leggere su un sopralzo in legno costruito sopra il fiume dove c’è anche una tettoia per ripararsi dal sole. E’ quasi mezzogiorno e dall’ashram-scuola per sadhu lì accanto arriva al fiume un ragazzino con un vassoio pieno di cibo. Prende il chapati, lo spezza, lo riempie di dhal e lo lascia cadere nel fiume. Così fa con il riso: lo impasta di salsa con le mani e lo dà al fiume. Un signore seduto accanto mi spiega che quello è il pranzo per la madre Ganga, un rituale che si ripete tutti i giorni, alle ore 12:00. Il rapporto tra cibo e religione qui in India è molto stretto: nelle celebrazioni delle puja c’è sempre il cibo, nei templi e sugli altarini sono sempre presenti dei piatti con del riso e chapati per gli dei.

Varanasi, nei pressi del Shindhia Ghat. Bambino che dà da mangiare al Gange.

Varanasi, nei pressi del Shindhia Ghat. Bambino che dà da mangiare al Gange.

Ritorno a Bengali Tola attraverso la città vecchia: esploro questi viottoli che sembrano tutti uguali e sempre diversi. Quando vedo dei militari in postazione da qualche parte ormai so che lì vicino c’è senz’altro un tempio. A volte mi sembra di percorrere stradine tortuose e sconosciute, ma arrivano sempre, alla fine, quasi per miracolo, nei ristorantini e nei luoghi che riconosco. Verso sera, nei pressi del Dasaswamedh Ghat, accanto al tempio c’è un folto gruppo di donne piuttosto anziane, avvolte in sari coloratissimi. E’ uno dei tanti pellegrinaggi che arriva da chissà quale parte dell’India. Le numerose donne, sedute a terra, cantano e pregano in omaggio a Shiva e sono felici di essere fotografate. Fa molto caldo: cerco un posto rialzato sopra il fiume dove arrivi un po’ di aria fresca. Si siedono accanto a me tre persone: un allievo della scuola per sadhu di 22 anni con il suo fratello minore e un sadhu anziano. Il vecchio sadhu è originario dell’Orissa, è stato sposato ed ha dei figli ormai grandi. E’ sadhu da una ventina d’anni e non ha mai lavorato. Vive in un ashram per sadhu qui a Varanasi ed è stato da poco in Orissa a trovare la sua famiglia. L’allievo sadhu mi conferma in modo preciso che i sadhu veri sono circa il 6% mentre il 94% è costituito da mendicanti o gente che, comunque, chiede l’elemosina spacciandosi per sadhu.

Varanasi, nei pressi del Dasaswamedh Ghat. Mendicante elegante.

Varanasi, nei pressi del Dasaswamedh Ghat. Mendicante elegante.

21 aprile
Cammino per i viottoli della città vecchia: vorrei tornare ai ghat verso il ponte dov’ero stata ieri, ma attraverso le stradine della città vecchia finisco per ritrovarmi sempre al punto di partenza. Torno così al Dasaswamedh Ghat attraverso la solita, sicura Main road e lì mi siedo su una gradinata a leggere e ad osservare i santoni che se ne stanno sotto una tenda a fumare marjuana. Hanno una botticella di plastica dalla quale spillano l’acqua e la vendono. Osservo per un po’ i barbieri che si avvicendano con i loro clienti. Il negozio di barbiere qui accanto è all’aperto, collocato lungo la scalinata, all’ombra di un grosso albero di pipal ed è composto da una sedia, da una mensola sulla quale stanno gli attrezzi, da uno specchio appeso al muro.
Nel tardo pomeriggio vado a camminare nella direzione dell’Assi Ghat. Mi siedo su una panca di pietra accanto a un sadhu che vedo sempre lì assorto nelle sue letture. Si ferma a parlare
una ragazza di 28 anni, di Fiume. Fa la fotografa, ma non ha un lavoro che le dia un reddito. Camminando da un ghat all’altro incontro ancora il sadhu che dirige la scuola di yoga e gli chiedo l’indirizzo e il costo delle lezioni no-profit: 250 rupie all’ora, pari a 3,5 euro. Non è poco qui in India!

Varanasi, mendicanti al ghat principale.

Varanasi, mendicanti al ghat principale.

Vicino al Kedar Ghat incontro Piero, un fotografo di Roma che sta scattando delle foto sui ghat. Ha 59 anni ed è scapolo. Mi racconta che fa il fotografo con un socio che si occupa di promuovere l’attività. In questo periodo sta fotografando soltanto il Gange, qui a Varanasi e a Rishikesh. Durante questo viaggio di tre mesi è stato anche a Goa dove ha lavorato come guida per un gruppo di turisti italiani. A Roma fa il fotografo di matrimoni, un’attività che gli permette di guadagnarsi da vivere. I lavori che svolge sono tutti in nero, mi confida, altrimenti non potrebbe sopravvivere. Nel 1976, durante il periodo del terremoto in Friuli, stava prestando il servizio militare a Codroipo e a Sacile. Ha partecipato, poi, agli interventi di soccorso nella zona di Gemona del Friuli.
22 aprile
Oggi effettuo una camminata breve al Dasaswamedh Ghat per osservare i matrimoni.

Varanasi, matrimonio di metà aprile al Dasaswamedh Ghat.

Varanasi, matrimonio di metà aprile al Dasaswamedh Ghat.

Non sono certa, ma oggi, mercoledì, ce ne sono molti di più degli altri giorni. Diversi sono arrivati a suon di musica e accompagnati dalle danze. Sulla Main road è sbucato dalla città vecchia di Bengali Tola, uno sposo vestito in abito tradizionale ed a cavallo; era accompagnato da un corteo che suonava e danzava. I parenti gettavano in aria delle banconote da 10 rupie, meno di 15 centesimi di euro ciascuna. Era senz’altro un matrimonio di una famiglia della classe media!
Sui ghat ho incontrato di nuovo Piero, il fotografo di Roma. Attendeva Helen, un’amica di origine inglese, che vive a Roma con il suo compagno. Insieme siamo andati nella sua stanza, in hotel dove ci ha preparato un buonissimo caffè con la moka. Lasciati i due nuovi amici in hotel, sono tornata al Dasaswamedh Ghat dove mi son fatta accorciare ancora i capelli dal mio barbiere di strada. Verso sera, al Chausatti Ghat, il mio amico barcaiolo guardandomi, mi dice che con i capelli tagliati sembro una classica vecchia signora! E’sera e passeggio ancora lungo i ghat. Incontro il sadhu che ricama le cinture e gli regalo la pagina del giornale che oggi ha pubblicato la sua foto. Mi siedo accanto a lui a leggere e lui rimane tutto il tempo in silenzio. Quando sto per andarmene mi regala un rosario induista di semi da portare come collana.

Varanasi, l'automassaggio del guru dopo il bagno nel Ganga.

Varanasi, l’automassaggio del guru dopo il bagno nel Ganga.

23 aprile
Passeggio attraverso i viottoli della città vecchia e mi siedo a leggere il quotidiano al Dasaswamedh Ghat. Sto molto bene tra le coppie di sposi che arrivano in continuazione al Gange per celebrare la puja, i parenti che scoperchiano pentole e cucinano il chapati su dei fornelli improvvisati, fotografi che scattano foto ricordo, barche che raccolgono a volte sposi e parenti a volte pellegrini e turisti per portarli a bagnarsi nell’altra riva del fiume sacro e poi tornare. Mi siedo su un tavolone, tra preti e guru che si contendono i clienti per la celebrazione della puja dirigendoli dall’alto verso i loro altarini già allestiti. Riguardo ai matrimoni, uno studente che sta frequentando un master sul commercio all’università di Varanasi mi conferma che la maggior parte dei matrimoni non vengono registrati negli uffici governativi e rimangono soltanto degli accordi economici tra le due famiglie. Per ottenere il divorzio, fatto che accade molto di rado, il matrimonio deve essere registrato. Mi dice anche che la gita al Gange avviene all’indomani dello sposalizio, cioè il giorno dopo che la sposa è andata ad abitare presso la famiglia del marito. Come ho scritto più volte, continuo a raccogliere le informazioni dalla gente comune così, come di volta in volta mi vengono raccontate, con le assonanze e le contraddizioni che le caratterizzano via, via.
Questa mattina, l’arrivo di un gruppo di pellegrini dal sud dell’India insieme al loro guru e alla moglie ostacola l’afflusso di clientela agli altarini che stazionano qui, tutti i giorni, allo stesso posto. Questi guru, preti o pseudo sacerdoti, in attesa dei clienti per celebrare la puja, pagano un affitto al proprietario del ghat, così come tutti i negozietti e i venditori che stazionano all’aperto e al chiuso. Il guru del sud è molto carismatico e i suoi fedeli lo adorano baciandogli i piedi e colmandolo di fiori.

Varanasi, pellegrini del sud al Dasaswamedh Ghat con il loro guru e sua moglie.

Varanasi, pellegrini del sud al Dasaswamedh Ghat con il loro guru e sua moglie.

Mentre sta distribuendo le benedizioni, il guru del sud, schizza ignaro dell’acqua sulla tavolozza di un prete e suscita la sua ira. I fotografi impazziscono: è un business spaventoso e tutti vogliono farsi fotografare con il guru e la folla che lo attornia continua a nascondere gli altarini sui rialzi di preti e guru. Lo studente mi spiega come riconoscere i guru, cioè i maestri di vita, dai preti che celebrano le puja. I guru hanno 4 linee colorate di bianco sulla fronte interrotte a metà da segni rossi verticali. Rimane il fatto che molti celebratori non sono niente: né bramini, né preti, né guru, ma svolgono questo tipo di attività raccogliendo poi le offerte. Terminata velocemente la lettura del quotidiano mi incammino verso il Manikarnika Ghat: ci sono delle pire accese anche ora. Salgo la gradinata che porta alla città vecchia e incrocio due funerali che stanno arrivando per la cremazione con i parenti che accompagnano le salme con canti e mantra. Se raggiungo questi ghat, camminando sul lungofiume, riesco a far ritorno a Bengali Tola attraverso le stradine tortuose della città vecchia: il percorso opposto non sono ancora in grado di farlo. Mi fermo in un tempio gremito di gente in preghiera dove un sacerdote distribuisce benedizioni: il Santa Deli Temple. Scatto qualche fotografia con il cellulare, ma mi avvertono che in questo luogo è vietato farlo. Mi siedo a leggere in un viottolo, su una comoda panca di pietra. Dopo un po’ mi si avvicina un anziano indiano vestito con l’abito bianco tradizionale, ma molto sudicio: parla inglese e chiacchiera molto. Mi racconta che è un insegnante di scritture religiose antiche, ma ricordo di averlo già incontrato nel settembre scorso e mi aveva chiesto dei soldi. Spengo l’e-book e m’incammino verso Bengali Tola, ma il signore non mi lascia. Gli dico che preferisco camminare da sola, mi risponde “ok”ma me lo ritroverò più volte, fin quasi alla guest house. Sulla Main road incontro il sadhu che ieri mi aveva regalato il rosario indù: oggi vuole donarmi una cintura realizzata da lui, con i campanellini alle estremità che suonano ad ogni mio piccolo movimento! Nel mese di maggio andrà anche lui a Dharamsala: sta aspettando che arrivino dei suoi amici giapponesi che ora stanno visitando l’India del sud, poi con loro farà il viaggio.

Varanasi, matrimonio con arrivo dello sposo a cavallo e in abito tradizionale, accompagnato da musiche e danze.

Varanasi, matrimonio con arrivo dello sposo a cavallo e in abito tradizionale, accompagnato da musiche e danze.

Tornando in guest house, nel tempio accanto c’è una coppia di sposi con i familiari. Hanno appena terminata la celebrazione della puja e la sposa sta singhiozzando e abbracciando prima l’uno e poi l’altro genitore. E’ un attimo, ma mi commuovo anch’io. Mi giunge alla mente un ricordo lontano di quasi cinquant’anni fa, quando uscendo dalla chiesa dove mi ero appena sposata, i miei due fratelli mi chiamavano con le lacrime agli occhi. Poi, gli anni sono passati e la spartizione discriminata delle misere proprietà hanno disgregato ogni rapporto tra di noi.
24 aprile
Grande sosta al Dasaswamedh Ghat e dintorni a guardare le numerose coppie di sposi che continuamente arrivano al Gange per la puja nuziale. Mi sembra di essere tornata bambina quando, nella borgata dove abitavo, quando c’era un matrimonio noi bambini eravamo felici perché raccoglievamo i confetti che i parenti degli sposi gettavano in aria. Camminavamo a quattro zampe, passando tra le gambe degli invitati per raccoglierli e tornavamo anche dopo la cerimonia a scuotere i cipressi e a cercare tra l’erba nella speranza che qualche confetto fosse sfuggito. Qui, in India, non ci sono confetti, c’è solo il business della puja per i guru e i preti o, comunque, per gli addetti alla cerimonia sul Gange.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Pellegrini del sud raccolti in preghiera sulla riva della Madre Ganga.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Pellegrini del sud raccolti in preghiera sulla riva della Madre Ganga.

Oltre agli sposi con i loro cortei, arrivano continuamente, qui sul Gange, pellegrinaggi da ogni parte dell’India. Molti fedeli vengono a Varanasi per far celebrare la puja per i familiari morti da poco. Oggi c’erano due fratelli di una certa età a cui era mancata la madre da tre giorni. L’avevano fatta cremare al Manikarnika Ghat e stavano cercando un prete per la cerimonia della puja. Sono arrivati poi dei fratelli di un altro nucleo familiare a cui era mancato da poco il padre e si sono aggiunti alla stessa cerimonia. Questa puja non l’ha celebrata l’anziano guru con le quattro righe bianche sulla fronte, ma un suo aiutante vestito pure lui di bianco, ma con soltanto il terzo occhio disegnato sulla fronte. Il guru anziano, titolare di quella piattaforma in legno con gli altarini dei vari dei, ha preferito occuparsi delle puja nuziali.
25 aprile
Camminata sui ghat, dal Dasaswamedh Ghat raggiungo il Manikarnika Ghat e proseguo oltre, superando sia il Shindhia sia Ram Ghat. Al Dasaswamed Ghat c’erano delle coppie di sposi, ma uno degli anziani guru che sto osservando mentre contratta i prezzi delle puje mi informa che oggi non ci sono molti matrimoni. Il boom è previsto per il 28 aprile. Parlo con una coppia di sposi e poi con una giovane signora madre di due bambini: chiedo loro se il matrimonio è stato deciso dalle famiglie oppure è un matrimonio d’amore. Risposta: matrimonio deciso dalle famiglie. Rimango meravigliata di come siano tutti, spose, sposi, parenti, fieri di aver realizzato un matrimonio scelto dalle famiglie. Dico loro che mi era sembrato di aver notato nei due sposi un certo affiatamento, cosa che non avevo mai visto nelle altre coppie. Mi sono azzardata ad aggiungere che forse è un matrimonio d’amore prima che di famiglia, ma tutti, sposi e parenti hanno voluto precisare che si trattava esclusivamente di un matrimonio deciso dalle famiglie.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Rituale con avvolgimento di cibo nell'abito della sposa.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Rituale con avvolgimento di cibo nell’abito della sposa.

Superato il Manikamika Ghat delle cremazioni, mi fermo a guardare la vasca che secondo una leggenda è stata scavata da Shiva con le mani per cercare l’orecchino che sua moglie, Parvati, aveva perso. Lungo il percorso verso nord, mi fermo a leggere sotto un ombrellone vuoto: di lì a poco arriva un indiano di mezza età che con molta disinvoltura si accuccia lungo il bordo della stradina e girandomi le spalle fa la pipì. Mi sposto immediatamente e mi fermo al posto dove qualche giorno fa un bambino aveva portato il pranzo al Gange. E’ un’impalcatura che poggia sulle acque del fiume con dei pali di sostegno ai quali ogni tanto approdano le barche. C’è qualche dondolio ogni tanto, ma non ci faccio caso. E’ appena arrivato un barcone carico di pellegrini del sud. Stanno andando a consultare un guru che abita nelle vecchie case in alto per celebrare con lui la puja. Là sotto, nel fiume, alcuni ragazzi stanno facendo il bagno e poi salgono e mi si avvicinano per guardare incuriositi il mio e-book. Improvvisamente vedo arrivare correndo giù per la gradinata i pellegrini del sud e, li guardo mentre risalgono in tutta fretta, sull’enorme vecchio barcone che li aveva da poco portati lì. Si allontanano agitati e vocianti, verso il Dasaswamed Ghat insieme al robusto barcaiolo impegnato a remare il più veloce possibile.

Varanasi, pellegrine del sud dell'India che che hanno offerto i loro capelli al Gange.

Varanasi, pellegrine del sud dell’India che che hanno offerto i loro capelli al Gange.

Più tardi capirò il motivo del poco tempo trascorso dai pellegrini presso il guru e della loro fretta di andarsene via. Mentre me ne sto ancora tranquillamente seduta su questa specie di terrazza di legno sul fiume, arriva un indiano che già avevo incontrato lì, nei giorni scorsi e sposta anche questa volte le mie ciabatte dicendomi che il posto dove sto seduta è un tempio. Inizia di nuovo a propormi dei massaggi dalla testa ai piedi fino a che decido di andarmene. Risalgo lungo la scalinata che porta alla città vecchia, la stessa che aveva percorso il gruppo di pellegrini, poco tempo prima. Passeggio per le vecchie strade e incontro un fornito mercato di vegetali: la carne qui non si vede mai, il pesce solo rarissimamente, uova a volte, latte, formaggio e yoghurt invece, più spesso. Un bambino mi indica di guardare verso l’alto, ma io interpreto che voglia segnalarmi un vecchio edificio adibito a tempio. Anche questo segnale lo comprenderò più tardi. Scatto qualche foto alle bancarelle e ad una scimmia che su un cornicione sta mangiando un pomodoro. Più avanti mi ritrovo davanti il solito signore che insiste per farmi da guida: è sempre vestito di bianco, con l’abito tradizionale, ma sempre più sporco. So che sta preparando il momento per chiedermi dei soldi e gli chiedo di lasciarmi sola: dopo qualche altro tentativo si rassegna e se ne va. I vicoletti per tornare a Bengali Tola non li conosco bene: ci sono troppe diramazioni che si assomigliano, ma so di essere nella direzione giusta. Trovo un’uscita sulla Main road: la riconosco, ma è ancora lontana da Bengali Tola, sono ancora dalle parti di Godaulia o Godonia. Fa molto caldo e preferisco rientrare nelle vecchie stradine, e camminare all’ombra degli antichi edifici. Lì, a Godonia, mi accorgo che nella piazzuola c’è un assembramento di gente allarmata, spaventata per qualcosa appena accaduto o che potrebbe accadere. Tutti stanno guardando verso l’alto, nella direzione degli edifici più elevati, come se fosse scoppiato un incendio o ci fosse stato un attentato. Seguo gli sguardi anch’io: mi guardo in giro, ma non vedo nulla. Più tardi, arrivata a Bengali Tola e uscita sulla Main road, incontro il sadhu manager, il direttore della scuola di yoga che ho conosciuto giorni fa. Mi informa con angoscia che c’è stato un terremoto di 7.9 gradi della scala Mercalli poche decine di minuti prima. I suoi allievi sono fuggiti dalla scuola ed è stato costretto a chiuderla. Mi riferisce che l’epicentro è stato in Nepal, ma che anche nelle regioni dell’India del nord- est ci sono stati dei danni e delle vittime.
Tornando in guesthouse incontro Raul, uno dei proprietari, che mi rassicura riguardo al Kashmir indiano dove sta mio figlio. In quella zona pare non ci siano stati danni. Più tardi, attraverso internet, apprenderò che il terremoto ha provocato dei danni ingenti al patrimonio archeologico del Nepal oltre a numerose vittime: una grande tragedia, un immenso dolore per questo Paese che ho da poco visitato!

Varanasi, panorama dal tempietto accanto al Dasaswamedth Ghat

Varanasi, panorama dal tempietto accanto al Dasaswamedth Ghat.

26 aprile
Sto ricevendo diverse chat, mail e messaggi da figli, nipoti, amiche e amici. Tutti sanno che sto nelle zone colpite dal terremoto e vogliono accertarsi sulle mie condizioni di salute.
Sono al Dasaswamedh Ghat a leggere il giornale con le notizie strazianti sul terremoto in Nepal, ma anche sulle diverse vittime causate nel nord-est dell’India e in Uttar Pradesh, la regione cui appartiene Varanasi. Oggi è domenica e, nonostante il terremoto, ci sono diversi pellegrinaggi sui ghat con una grande richiesta di puje per guru, preti e celebranti in genere. C’è un gruppo che arriva da Madras e rimane a Varanasi per dieci giorni; un altro pellegrinaggio proviene da Gorakhpur e si ferma soltanto un giorno, il tempo per bagnarsi nel Gange, celebrare la puja e visitare il Vishwanath Temple. Mentre mi aggiro lì, sul ghat principale, incontro un santone abbastanza giovane, tutto vestito di nero. Gli chiedo qualche informazione sulla sua attività e mi racconta che veste di nero solo il sabato e la domenica, quando celebra un particolare magico rituale denominato Angori puja nel tempio Alkalbero, nei pressi del Panchganga Ghat, un luogo sacro dove si incontrano le acque di 5 fiumi: Gange, Yamuna , Sarwati, Kirana e Dhutpapa. Mi parla di questo tempio come di un luogo importantissimo e mi invita a seguirlo per scoprirlo. Non ci vado oggi con lui, non mi fido molto, ma forse cercherò quel tempio in futuro! Lasciato l’uomo nero, m’incanto come ogni giorno a guardare la gente e mi sembra di riconoscere in una donna una turista che avevo incontrato qualche sera fa, al Chausatti Ghat. Non è lei, ma scambiamo qualche chiacchiera ugualmente. E’ francese, pensionata, lavorava nel commercio, sta facendo un viaggio di 5 mesi, uno dei quali l’ha trascorso in Sri Lanka. Sta viaggiando con un’amica.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat.

Nel pomeriggio vado verso il Kedar Ghat attraverso la città vecchia: lì mi siedo a leggere e ad osservare la gente, accanto al tempio, in un posto ben ventilato. Dopo un po’ arriva uno spagnolo di 52 anni che viaggia portandosi sempre dietro una scatola-valigetta di scacchi. Gli si avvicina un indiano e si mettono subito a giocare, attorniati da un immediato folto gruppo di spettatori. Di seguito si ferma Cristina, la ragazza del Cadore che fa l’infermiera di strada ed è in viaggio con Michelle, il suo ragazzo francese. Anche lei ora risiede in Francia, è disoccupata, ma riceve un assegno mensile dallo Stato francese. Mentre Cristina sta andando via, passa di lì il sadhu dei regalini e lo chiamo. Non riusciamo a comunicare: lui non parla inglese e io non capisco l’indi. Credo di aver compreso soltanto che nei prossimi giorni si sposterà a Dharamsala per vendere le cinture che ha realizzato. Mi insegna a recitare dei mantra. Sgranando con le dita i semi della corona-collana che mi ha regalato devo dire: Om Navasi Vai per ogni granello. Poi, mi indica un altro mantra da recitare allo stesso modo che dice: Randam Sate. Tornando verso il Dasaswamedh Ghat mi fermo al Chausatti Ghat e mentre sto chiacchierando con Sonu si siede accanto a me Piero, il fotografo di Roma e concordiamo un incontro per domani mattina alle 10.00, nella sua stanza d’albergo per bere il caffè della sua moka.
27 aprile
Alle 10: 04 salgo nella stanza di Piero, il sessantenne romano, originario di Potenza. E’in mutande! Mi prepara il caffè lasciando la porta della camera aperta e visibile al personale dell’hotel che sta andando avanti e indietro. Il caffè è buonissimo! Parliamo un po’ del recente terremoto qui e in Nepal. La stanza di Piero sta al quinto piano di un antico palazzo di sette piani; lui tiene sempre a portata di mano il passaporto e i soldi per fuggire sul tetto a terrazza dell’albergo. Secondo il suo ragionamento, salendo sul tetto, in caso di una forte scossa, avrebbe maggiori probabilità di salvarsi.
Piero è sociologo come me: si è laureato dopo aver terminato il servizio militare che ha svolto in Friuli. Mi racconta, con orgoglio, che nella sua vita non ha mai accettato di intraprendere nessun tipo di carriera, né militare né accademica. Per quindici anni ha lavorato a Londra come guardiano di un’azienda, poi, rientrato in Italia, ha intrapreso l’attività di fotografo. Attribuisce la sua incostanza al fatto di essere figlio di un militare continuamente costretto a spostarsi da una città all’altra. Secondo lui, questo girovagare da un luogo all’altro, in particolare durante l’infanzia e l’adolescenza, gli hanno impedito di adeguarsi ad un’attività stabile. Piero, oltre a scattare delle fotografie, qui a Varanasi, trascorre diverso tempo nella sua stanza d’albergo ed anche ora preferisce rimanere qui. Ci lasciamo con l’accordo di vederci domani, ancora per il caffè e vado a camminare sui ghat.

Varansi, meditazione lungo i ghat.

Varansi, meditazione lungo i ghat.

Attraverso il Manikamika Ghat dove ci sono diverse pire accese e dei parenti che celebrano i rituali, insieme ai sacerdoti. Più avanti, sul lungo fiume, trovo un posto libero dove ci sono gli ombrelloni con panca e mi siedo a leggere il giornale. Ad uno ad uno arrivano i procacciatori, quelli nuovi, che evidentemente non mi hanno ancora incontrata. Tutti hanno delle offerte da farmi: c’è chi mi propone un giro al ghat delle cremazioni, ma sono già caduta una volta nella trappola, chi mi propone un massaggio, chi una visita al suo negozio e chi tasta solo il terreno per capire dove portarmi. Poi, al mio rifiuto deciso, se ne vanno, ad uno ad uno, ma tutti dicendomi di essere poveri e con una famiglia da sfamare. Ora vedo arrivare il mio amico sadhu con un pezzo di sapone: deve fare il bucato degli abiti che indossa. Entrambi cerchiamo di comunicare, anzi di interpretare quello che vogliamo dirci. Il sadhu viene subito redarguito da una sedicente guida che avevo rifiutato poco prima. Lo accusa di avergli portato via la cliente ripetendo, rivolto verso me, ancora la storia di essere vedovo con due figli piccoli da mantenere. Il sadhu ed io non gli diamo retta e camminiamo insieme lungo il Gange, fin quando lui si ferma per il bucato: mi fa segno di accomodarmi, come se fossimo arrivati a casa sua. Preferisco proseguire e risalgo lungo la prima scalinata che trovo per poi attraversare la città vecchia e tornare verso Bengali Tola.
Nel pomeriggio mi siedo a leggere al tempietto che sta prima del Kedar Ghat, il posto frequentato dai giocatori di carte. Saluto Raul che sta passando di lì per andare al Kedar Temple, alla cerimonia del lunedì, giornata dedicata a Shiva. Incontro ancora Cristina che sta leggendo un libro di Jedoroski sui tarocchi. Ne parliamo e mentre torno verso il Dasaswamedh Ghat incrocio il mio amico sadhu tutto pulito e con gli abiti freschi di bucato.

Varanasi, santoni lungo il Gange.

Varanasi, santoni lungo il Gange.

28 aprile
Oggi Piero è indisposto e rimango da lui soltanto il tempo per prendere un cappuccino. Fuori pioviggina e sta tirando un forte vento; al Dasaswamedh Ghat c’è poca gente ora. Il mio barbiere recupera un ombrellone e ci sediamo a chiacchierare su una panchina, al riparo dal vento. A noi si uniscono altri barbieri, in questo momento disoccupati. Uno di loro, un ragazzo di 24 anni, ci racconta di essere felicemente sposato con un matrimonio combinato e di avere già due bambini: uno di 4 anni e l’altro di uno e mezzo. Abita in famiglia, ma le due mogli, la sua e quella del fratello non vanno d’accordo. Avendo due case, una in città e l’altra in periferia, le due famiglie hanno trovato l’accordo di alternarsi nelle abitazioni con dei turni di un mese, ciascuna. Ora ha smesso di piovere, cammino fino al Manikamika Ghat e mi soffermo a guardare con tristezza le pire che bruciano e i gruppi familiari che assistono in silenzio alla procedura. Osservo commossa le pire spostando lo sguardo dall’una all’altra e assorta nei miei pensieri. A momenti mi interrompono ancora le voci dei procacciatori che vorrebbero sempre accompagnarmi a visitare negozi, a vedere le pire da vicino o dall’alto, a fare un giro in barca. Mentre sto tornando indietro, poco dopo il Manikamika Ghat, vedo arrivare un barcone carico di pellegrini: li seguo per le stradine e vedo che stanno andando ad accodarsi alla lunghissima fila del Shiva Temple, un luogo strettamente presidiato dai militari che ho già visitato tempo fa. Torno sulla Main road di Bengali Tola e scendo la scalinata del Dasaswamedh Ghat: ora è affollatissimo di coppie di sposi e pellegrini. Osservo per un po’ i santoni che celebrano le puja nuziali per alcuni gruppi e le parenti donne che preparano i rituali fai da te per altri. Alcune barche sono pronte per la partenza: sono addobbate con lunghe corde con dei fiori veri inseriti tra gli intrecci che trascinano lungo il fiume. Alcuni barconi nuziali stanno tornando: i cortei scendono assediati dai fotografi che a volte riescono a strappare il consenso per qualche foto ricordo. Un gruppetto di pellegrini che sta lì accanto vuole farsi fotografare con me: scattano una moltitudine di foto con il cellulare, ma un fotografo coglie il momento per inserirsi con il suo lavoro. Mi mostrano la foto scattata dal professionista: è molto chiara, sovraesposta, ma loro non ci fanno caso e sono contenti. Mi capita spesso di essere fotografata con le persone, probabilmente a causa della mia pelle bianca e al fatto che sono quasi sempre sola. Mentre torno in guest house dopo aver pranzato con un thali, incontro Cristina che vorrebbe farsi leggere i Tarocchi. Ci accordiamo per incontrarci dopo le 17.00 al tempietto che sta verso il Kedar Ghat, ma non riusciamo a vederci.

Varanasi, puja serale al tempietto accanto alla mia guesthouse, in Chousatti Ghat.

Varanasi, puja serale al tempietto accanto alla mia guesthouse, in Chousatti Ghat.

Mentre rimango seduta al Chausatti Ghat arriva Sonu, il barcaiolo: è stato due giorni a Bodhgaya per festeggiare il matrimonio del cognato di sua sorella. Mi racconta che qui in India, come in Italia, per i matrimoni vengono fatti dei regali o vengono dati dei soldi.
Sul tardi mi arriva un sms di Piero che mi informa di aver comprato il biglietto per Bombay e che partirà già domani mattina.
29 aprile
Tento di arrivare nella zona del Manikanika Ghat attraverso le stradine della città vecchia e finalmente ce la faccio. Mi avventuro tra i vicoletti e chiedendo qualche indicazione alla gente riesco a sbucare esattamente al ghat delle cremazioni.

Varanasi, città vecchia.

Varanasi, città vecchia.

Lungo il percorso c’è un bel mercatino di vegetali e tanti, tantissimi templi. La zona vecchia accanto al Manikanika Ghat è molto animata. Al ritorno, cambiando i vicoletti, trovo un altro grande mercato di vegetali con i prezzi molto più convenienti che a Bengali Tola, la zona dove abito. L’onestà di questi rivenditori mi commuove. Intorno al ghat delle cremazioni ci sono diversi gruppi di pellegrini seduti in cerchio che celebrano la puja. Subito dopo la vasca scavata da Shiva per cercare l’orecchino di Parvati ci sono più pellegrini del solito. Due sorelle con la figlia piccolissima di una delle due e una cognata vogliono farsi fotografare insieme a me. Sono del sud, dalle parti di Hampi, e si fermano a Varanasi per tre giorni. La ragazza è sposata con un cugino: il matrimonio è stato deciso dalla famiglia e lei dice di essere contenta. Il gruppetto familiare appartiene alla prima casta, ma non sono bramini. La ragazza sposata abita nella famiglia del marito e si occupa della casa; ha frequentato fino alla dodicesima classe, ma ora vorrebbe riprendere gli studi e diventare insegnante. Concordiamo insieme sulla validità della scelta alternativa all’occuparsi solo di casa, marito, figli. La sorella maggiore è laureata in ingegneria delle comunicazioni e sta cercando lavoro. La cognata è giovane, sta frequentando la decima classe e solo alla dodicesima i ragazzi indiani possono scegliere l’indirizzo di studi futuro. Lei, comunque, desidera diventare medico.

Varanasi, la città vecchia nei pressi del Ram Ghat.

Varanasi, la città vecchia nei pressi del Ram Ghat.

Proseguo il mio giro intorno al ghat e vado a fotografare altri pellegrini, ma il gruppetto familiare mi raggiunge per parlare ancora e per scattare altre foto. Proseguo lungo i ghat fin quasi al grande ponte sopra il quale passa la ferrovia. Anche quassù c’è qualche guru che celebra la puja per alcuni pellegrini, oltre a diversi uomini che fanno il bagno ed a diverse barche in attesa di turisti. Cammino ancora lungo i ghat e poi salgo la scalinata per scoprire questa parte della città vecchia. Tra la scalinata del Lal Ghat e il Gaay Ghat le stradine sono animate. Tra i palazzi c’è un cortile con dei bambini che giocano a cricket: sono numerosi e chiedo loro il motivo per cui non siano a scuola considerato che sono le 11.00 di mattina di un giorno feriale. Mi rispondono che la scuola è finita e che sono in vacanza. Non è vero perché verso mezzogiorno incontro diversi bambini e bambine che stanno proprio tornando da scuola. L’orario va dalle 7:00 alle 12:00, mi dicono i genitori che li accompagnano.

Varanasi, interni del Manikanika Ghat. Bambini che non frequentano la scuola e giocano a cricket in un piazzale.

Varanasi, interni del Manikanika Ghat. Bambini che non frequentano la scuola e giocano a cricket in un piazzale.

I bambini che stanno giocando a cricket mi chiedono con prepotenza di dar loro una rupia a testa: mi rifiuto e dico loro di andare a scuola. Cerco di scattare qualche foto, ma mi dicono di non farlo. Anche delle bambine che stanno poco distanti dai ragazzini mi dicono di non scattare loro delle foto. Questa parte della città vecchia si presenta ricca di piccoli templi, mercati, botteghe e tea-stalls. Fa molto caldo, la mia guesthouse è distante, ma resisto alla tentazione di prendere il risciò: le città le scopro soltanto camminando.
Nel pomeriggio vado a sedermi al solito tempietto che sta prima del Kedar Ghat. Ci sono gli abituali giocatori di carte, ma poi, arrivano dei turisti e una ragazza di Barcellona che ha appena vissuto l’esperienza del terremoto in Nepal e ce la racconta. Sul tardi arriva Michelle, il ragazzo di Cristina e, dopo un po’ anche Cristina. Lei ha le carte dei Tarocchi con sé e ce le leggiamo a vicenda. Mi regala una pietra che porta appesa al collo e mi dice che si tratta di una Labrador, una pietra africana, simbolo della femminilità: mi raccomanda di lavarla nel Gange per pulirla della sua energia e fare in modo che si carichi della mia. Questa operazione la farò al Chausatti Ghat, sotto gli occhi del mio amico Sonu, il barcaiolo, al quale racconterò emozionata l’episodio.

Varanasi, venerazione di un albero al Santa Deli Temple

Varanasi, venerazione di un albero al Santa Deli Temple

30 aprile
Cammino verso il Dasaswamedh Ghat e poco prima di arrivarci vedo il giocatore di scacchi di Madrid con la sua valigetta seduto in una tea-stall. Scambiamo qualche parola e poi, mi dirigo a sud, nella direzione dell’Assi Ghat percorrendo i vicoletti della città vecchia. Al Shivala Ghat rientro sulla riva del Gange e mi siedo all’ombra di un grande albero di pipal e ci rimango a lungo. Fa molto caldo: leggo un po’ e ogni tanto osservo le modalità di lavoro di un procacciatore di turisti che in questo momento sta parlando con un viaggiatore sloveno che passava di lì. E’ di Lubiana, ma si definisce europeo: si ferma poco a chiacchierare e preferisce proseguire il suo cammino sotto il sole cocente. Arriva una coppia di Los Angeles: un ragazzo di 26 anni, laureato in cinema, e una ragazza di 23 anni, laureata in pubbliche relazioni. Stanno viaggiando in India con un visto di un mese e devono decidere se sia il caso di rientrare a casa o di prolungare il viaggio. Ci lasciamo con la promessa di rivederci presto. Li incontro di nuovo, verso sera, al tempietto vicino al Kedar Ghat. Devo comprare l’offerta al Gange per il Nepal che mi ha chiesto Lucia, l’amica di Doriana e non mancano le occasioni. Una moltitudine di bambini e bambine s’aggirano per i ghat vendendo composizione di fiori: ne acquisto una con i fiori bianchi e rosa, con una candela in mezzo. Affido il piattino alle acque del Gange che se lo porta subito quasi al centro del fiume, aiutato dal grande movimento di barche che a quell’ora si spostano creando una moltitudine di onde. Mentre cammino verso il Chausatti Ghat mi si affianca un bramino: ha tre linee bianche sulla fronte e mi spiega che le portano i fedeli di Shiva. Se le tre linee sono interrotte a metà significa che chi le porta è seguace di Vishnu, un’altra importante divinità indù. Il bramino mi dice di essere vegano, così pure tutta la sua famiglia. Gli faccio presente quanto sia difficile per me rinunciare al latte, ai formaggi, allo yogurt, ma lui mi rassicura dicendomi che l’importante è non uccidere!

Varanasi, Main road. Le fioraie.

Varanasi, Main road. Le fioraie.

Venerdì 1 maggio 2015
Cammino verso Godonia e poi proseguo oltre il Manikanika Ghat: ci vado attraverso la Main road e poi entro nella parte vecchia della città per raggiungere i ghat che stanno dopo le cremazioni. Accanto alla riva ci sono sempre dei bagnanti mentre sui sopralzi in legno, riparati dal sole con dei tetti in lamiera ci stanno guru e preti in attesa dei fedeli. Da queste parti mi pare ci siano poche richieste di puje così gli addetti alle celebrazioni trascorrono molto tempo in meditazione, fermi, immobili, con gli occhi chiusi e le gambe incrociate. Qualcuno di loro scende al Gange e dopo il bagno fa degli esercizi di ginnastica, appoggiandosi al parapetto del terrazzamento. Leggo il quotidiano e qualche pagina di un libro e poi risalgo in città attraverso una scalinata ripidissima. Ormai, da queste parti mi riconoscono e non mi fanno più le solite proposte truffaldine per spillarmi dei soldi. Lungo la scalinata c’è un tempio dedicato a Krishna, poi, poco più sopra, c’è il Windu Madhaw Temple dove i pellegrini, arrivati in barcone al ghat, si fermano a dare un saluto veloce agli dei ed a dissetarsi alle brocche in terracotta poste all’interno. Gli indiani sanno bere senza appoggiare la bocca alla bottiglia o al mestolo: si versano l’acqua in bocca tenendo la testa rivolta verso l’alto.

Varanasi, vicoletti di Bengali Tola.

Varanasi, vicoletti di Bengali Tola.

Seguo ancora questo gruppo di pellegrini che arriva dal sud dell’India e lo lascio al Maa Kashi Visalakshi Temple, dove ai non indiani è proibito entrare. All’esterno del tempio, proprio sulla porta, c’è un santone con un pappagallo: sta celebrando dei rituali facendo scorrere l’animale sui corpi delle persone. Alla fine dell’operazione, il pappagallo afferra i soldi dei fedeli con il suo becco e li porge al padrone! Il santone non vorrebbe essere fotografato, ma, quando si distrae riesco a riprenderlo.
2 maggio
Oggi mio figlio compie 34 anni. Non sono riuscita a chiamarlo via skype, ma l’ho sentito attraverso il telefono di Raul, uno dei proprietari della guest house che mi ha prestato il suo telefono.
Nella mattinata vado un po’ al Dasaswamedh Ghat a guardare i matrimoni che non mi annoiano mai.

Varanasi, coppia di sposi sulla riva del Gange.

Varanasi, coppia di sposi sulla riva del Gange.

C’è una sposa vestita di verde, con il volto coperto dal velo. Mi dicono che le spose possono scoprire il viso solo dopo essere entrate a far parte della famiglia del marito. Riguardo al colore verde dell’abito di questa sposa, pare che in questo caso sia una scelta libera, dettata dalla credenza che quella tinta sia portatrice di fortuna. Più tardi, di sera, vedrò un’altra sposa non vestita con il consueto colore rosso, ma in giallo. In alcuni casi, quindi, le spose scelgono gli abiti del colore loro preferito. La coppia con la sposa vestita di verde è molto colta: è composta da un ingegnere elettrico e da una hostess di terra. Mi spiegano che ora il 60% delle coppie indiane registrano il loro matrimonio negli uffici governativi in quanto lo richiede lo Stato, ma per tradizione sono molte ancora le coppie che si sposano soltanto con l’accordo tra le famiglie. Pranzo con Cristina, Mikael e i due ragazzi californiani. Usciti dal locale, poco distante da lì troviamo un parco e ci fermiamo a chiacchierare ancora un po’. In un attimo si uniscono a noi diversi indiani che collaborano con i miei amici per preparare un miscuglio di tabacco e hashish che infilano in un tronchetto di terracotta e se lo fumano passandoselo tra di loro. Un indiano arriva lì con un sacchetto di plastica con dentro il cjai e dei bicchieri di plastica che riempie e distribuisce a tutto il gruppo. Al tramonto, insieme ai due ragazzi americani, lasciamo i nuovi amici e andiamo a passeggio lungo i ghat. Offro una composizione di fiori al Gange, ma il piattino non si allontana moltissimo e la candela non dura a lungo accesa come avrei voluto. Rifarò l’offerta prima di lasciare Varanasi.

Varanasi, mercato di vegetali nei pressi del Manikanika Ghat.

Varanasi, mercato di vegetali nei pressi del Manikanika Ghat.

Domani andrò a Sarnath in un centro di meditazione Vipassana. Rimarrò lì per 10 giorni. Alle 11.30 dovrei incontrare Cristina, Mikael e gli amici americani per un cjai di saluto. Arriva solo Cristina portandomi i saluti di Mikael che è a letto con un forte mal di capo, causato dagli eccessivi bagordi della notte precedente. Troverò più tardi un messaggio su facebook da parte dei cari ragazzi americani. Pranzo insieme a Cristina che poi mi riaccompagna alla guest house per salutarmi lì. Quando ritornerò dal corso di meditazione lei e il suo ragazzo si saranno spostati verso Rishikesh, probabilmente.

Varanasi, nei pressi del Kedar Ghat. Pastore che lava le sue mucche durante il loro lungo bagno quotidiano nel Gange.

Varanasi, nei pressi del Kedar Ghat. Pastore che lava le sue mucche durante il loro lungo bagno quotidiano nel Gange.

14 maggio
Parto in risciò da Varanasi e arrivo al Centro di meditazione Vipassana di Khargipur, un villaggio che dista 8 km da Sarnath, il luogo dove il Buddha si è ritirato dopo aver avuto l’illuminazione. Insieme agli altri corsisti consegno il passaporto, il cellulare, l’e-book e il portamonete con soldi, bancomat e carte di credito. Il tutto mi verrà restituito alla fine del corso. Tra i corsisti ci sono 30 maschi, di cui 6 stranieri, 2 dei quali oltre a frequentare le lezioni prestano servizio al Centro in cambio di vitto e alloggio. I rimanenti 24 maschi sono tutti indiani di varie età. Le donne sono soltanto 8: 4 indiane e 4 straniere. Tra le indiane ce ne sono due sulla cinquantina: una fa parte di una commissione governativa permanente per l’emancipazione delle donne, l’altra insegna filosofia all’università di Varanasi. Delle altre due indiane, una giovane e l’altra di mezza età non so che professione svolgano, comunque appartengono senz’altro ad una casta elevata. Le straniere, oltre a me sono: una ragazza di 23 anni, spagnola che gestisce stagionalmente un bar di un camping a Merida; una psicopedagogista di 35 anni, nata alle Isole Canarie, ma residente a Barcellona dove lavora su progetti di scolarizzazione per adulti; una ragazza greca di 29 anni che sta girando l’India scattando delle fotografie. Una delle regole del corso da rispettare rigorosamente è il silenzio da mantenere fino al pomeriggio del decimo giorno: non si può comunicare né con gesti, né con sguardi e nemmeno con parole. Il metodo Vipassana consiste in una tecnica di meditazione molto antica, scoperta dal Buddha oltre 2500 anni fa. Questa procedura insegna a vedere le cose in profondità, a percepirle come sono realmente attraverso l’osservazione del proprio respiro naturale per essere presenti a se stessi in una fusione corpo-mente liberatoria. E’un’esperienza diretta di verità e un processo di purificazione della mente che porta la persona a liberarsi da qualsiasi forma di sofferenza.
Questo processo viene denominato Dhamma ed è un universale rimedio per i problemi dell’universo; non ha nulla a che vedere con le religioni e le sette, può essere praticato liberamente e portare benefici a tutti attraverso l’introspezione. Il metodo praticato in questo Centro
fa riferimento all’insegnamento del guru S. N. Goenka, un maestro di origine birmana deceduto qualche anno fa. Goenka proveniva da una ricca famiglia indù e, in passato, era stato un ricco uomo d’affari che aveva girato tutto il mondo per lavoro. Verso i 25 anni era stato colpito da dolori fortissimi al capo che l’avevano portato ad assumere morfina per alleviarne il dolore. Dopo vari tentennamenti era approdato al metodo Vipassana e questo modo scientifico di affrontare la realtà gli ha salvato la vita. Diventa insegnante Vipassana egli stesso, prima in Birmania e in seguito in India, quando riesce a trasferirsi qui, nonostante un momento in cui era difficilissimo lasciare il suo Paese.

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Varanasi, dintorni. Centro di meditazione Vipassana di Sarnath.

Questa mattina ho terminato il corso: dieci giorni di lavoro intensissimo, con la ricerca mia continua della posizione per stare seduta a terra. Si dovrebbe rimanere fermi, immobili, a gambe incrociate per almeno un’ora, ma io non ce l’ho fatta mai e le mie posizioni sono rimaste due solamente verso la fine del corso. Ora, questa pratica ha bisogno di continuità: un’ora di meditazione al mattino ed una alla sera, 5 minuti al risveglio e 5 prima di addormentarsi. Vedremo! Ora la sensazione che provo è quella di aver ripulito la mente!
Torno a Varanasi, alla mia solita guest house. Viene con me anche Elena, la psicopedagogista spagnola. Insieme, verso le 12.00 ci incamminiamo e arriviamo fino a Manikanika Ghat; qui assistiamo ad alcuni funerali e a diverse cremazioni. Un indiano tempo fa mi ha raccontato che in questo ghat, ed anche nell’altro adibito alle cremazioni, stazionano i baba vestiti di nero che si cibano dei resti dei cadaveri delle donne che rimangono dopo la bruciatura. Mentre stiamo arrivando al ghat, riconosco la guida dai capelli tinti con l’henna che mi aveva abbindolata qualche mese fa chiedendomi dei soldi e dandomi ad intendere che servivano per comprare la legna per cremare i poveri. Quando si propone di farci da guida per portarci a vedere le cremazioni dall’alto gli rispondo che ho già vissuto quella esperienza con lui. La sedicente guida si allontana senza dir nulla. Torniamo a Bengali Tola, pranziamo in un ristorantino con un thali e ci rifugiamo subito in guesthouse a riposare.

Varanasi, tipologie abitative al Lal Ghat.

Varanasi, tipologie abitative al Lal Ghat.

15 maggio
Oggi vado a trovare Kashi, l’insegnante indiana che ha frequentato il corso di meditazione con me. Lei insegna filosofia indiana all’università di Varanasi e prende uno stipendio mensile pari alla mia pensione di docente di scuola media. La famiglia appartiene alla casta più alta e pur essendoci anche i bramini all’interno, la sua categoria li precede. Per arrivare a casa sua prendo il risciò per Pandeypur e chiedendo a destra e a manca, ci sono, arrivo. Durante il percorso dei bambini mi salutano con affetto da un motorisciò. Il caso vorrà che proprio su quel risciò ci fosse la cognata di Kashi che conoscerò più tardi quando andremo a farle visita. Due dei tre bimbi che mi salutavano erano i suoi figli. In casa di Kashi, oltre a lei ci sono: uno dei suoi due figli e la giovane nuora. Il figlio lavora come progettista di strade e la moglie studia inglese all’università di Delhi. Gli sposi sono entrambi ventitreenni e sposati con un matrimonio di famiglia da tre mesi. Le famiglie si sono riunite a casa della sposa per concordare la sua dote e le modalità della cerimonia che si è svolta in un palazzo indù riservato ai matrimoni. La ragazza mi racconta che per il suo matrimonio non c’è stato alcun atto legislativo e che qui in India, secondo lei, non esiste la prassi del divorzio. Nella stanza divenuta la camera dei giovani sposi c’è un armadio che la ragazza mi apre con orgoglio: è colmo di immagini delle divinità indù, a parte Kali, la dea della morte e della forza femminile che pur adorata non viene tenuta all’interno delle case in quanto battagliera e feroce. L’altro figlio di Kashi ha 29 anni e sta studiando a Delhi per diventare magistrato. La mia compagna di corso lo chiamerà al telefono e mi farà parlare con lui. La madre mi dirà poi che questo figlio non vuole sposarsi con una ragazza indiana e che preferisce guardare verso una moglie straniera. Il marito di Kashi è un avvocato e lo incontrerò per un attimo nel pomeriggio, mentre in auto stiamo andando a visitare la scuola privata della sorella e l’albergo elegante che lei stessa dirige. Questo hotel, mi raccontano, fa parte di una grossa catena di alberghi dislocati in varie parti dell’India e sono di proprietà del cognato di Kashi. Quando mi presentano il marito di Kashi, mi trattengo dallo stringergli la mano e lo imito congiungendole nel gesto della nostra preghiera. Qui solo gli uomini si stringono la mano, e lo fanno tutte le volte che s’incontrano. Noto che anche l’avvocato, come il figlio, sta masticando il pan mettendo in mostra il rosso dei denti e delle labbra. La casa di Kashi è grande e suddivisa in diverse stanze. L’arredamento è essenziale: in soggiorno c’è il letto matrimoniale di Kashi e del marito, in un’altra stanza, l’unica climatizzata, c’è il letto dei giovani sposi. Dopo un po’ mi fanno accomodare insieme a loro su quel letto e lì mi servono il pranzo. I piatti e le pentole sporchi li appoggiano a terra, in una stanza spoglia adibita a cucina La giornata trascorre serena con una grande serie di cibi che vanno dal gelato servito con dei dolci al talhi. Nel pomeriggio, durante la visita all’hotel, ci viene servito un altro pranzo, con della carne di pollo negli spaghetti che non mi sono sentita di mangiare. L’albergo è a tre o quattro stelle e le portate sono servite da camerieri gentilissimi ed eleganti, anche se si nota qualche macchia di unto  qua e là sugli abiti. Anche i vetri delle finestre sono sporchi, ma l’albergo è apparentemente elegante. La scuola privata di proprietà della cognata di Kashi è pubblica e le famiglie pagano una quota per farvi accedere i figli. Vedo un foglio appeso accanto alla porta di un’aula: è la dedica ad Amantya Sen, economista e filosofo indiano, Premio Nobel per l’economia nel 1998. La cognata di Kashi mi riferisce che, qualche tempo fa, Amantya Sen è venuto a visitare questa scuola. Spero abbia speso una parola a favore dei bambini che non possono permettersi di pagare una retta e nemmeno di frequentare la scuola statale gratuita.

Varanasi, mercatino all'entrata del Dasaswamedh Ghat.

Varanasi, mercatino all’entrata del Dasaswamedh Ghat.

16 maggio
Fa molto caldo e, dopo un giro per la città vecchia verso il Manikarnika Ghat rientro in guest house e torno ad uscire solo dopo le 5, verso l’ora del tramonto. Cammino all’interno della città vecchia fino all’altezza della scalinata che sta tra il Kedar e l’ Harishchandra Ghat. Mi fermo a guardare le foto esposte in un’agenzia di viaggi: rappresentano i luoghi turistici più interessanti dell’India. Il titolare, un giovane che studia manager turistico dice di essere in partenza per Roma in quanto la sua ragazza è di là. Chiacchiero un po’ con questo simpatico personaggio e poi entro nei ghat e mi perdo nell’incanto di sempre a godere della sera che sta calando e della gente che sta trascorrendo queste ore qui, sulla riva del Gange.

Varanasi, il pranzo per i poveri.

Varanasi, il pranzo per i poveri.

17 maggio
Sono in cammino tra le stradine della città vecchia e arrivo fino all’altezza dell’Assi Ghat. Un ragazzo mi ferma e mi parla di una fabbrica di stoffe in seta da visitare. Lo seguo e effettivamente in una stanza buia ci sono due uomini che lavorano al telaio. Scatto alcune foto e poi il ragazzo mi accompagna nel negozio accanto. E’ la solita prassi acchiappa turisti! Non ho intenzione di comprare nulla, ma mi soffermo su alcuni scialli in seta e lana. Guardo con attenzione quelli bianchi, ma costano 500 rupie, circa 7-8 euro. Il ragazzo mi assicura che anche le altre piccole sciarpe bianche sono in seta e ne acquisto una, per regalare a qualche amica. Il prezzo dopo lunghe contrattazioni arriva a 200 rupie, circa 3 euro. Mentre m’incammino per raggiungere la riva del Gange, mi si affianca un anziano indiano vestito con l’abito bianco tradizionale. Quando arriviamo al ghat si siede accanto a me e mentre guardo il nuovo acquisto, con molta semplicità mi assicura che la sciarpa non è in seta, ma sintetica. Mi riavvio verso il negozio consapevole delle difficoltà che avrei incontrato a ritrovarlo tra i numerosi vicoletti nascosti. L’indiano mi accompagna per un pezzo, fino al punto dove mi aveva incontrata. Riconosco alcune venditrici di verdure e lo sportello della banca ATM. Una signora seduta su un gradino mi chiede che cosa stia cercando: le mostro la sciarpa di plastica e lei mi accompagna dal ragazzo che mi aveva fermata circa un’ora prima. Spiego al ragazzo il fatto e lui mi porta fino al negozio. Senza dir parola mi restituiscono le 200 rupie, ma rimango molto delusa per l’accaduto. Sadhu, il ragazzo, mi accompagna nel suo negozio, mi offre il cjai: sembra molto dispiaciuto di quanto accaduto, ma in fondo mi aveva accompagnata lui in quel posto. Lo saluto e poco dopo incontro di nuovo l’anziano che mi invita a vedere la sua casa: si tratta di un edificio molto vecchio, ma pulitissimo e con ogni minimo spazio affittato a delle persone. Lui possiede un letto in un corridoietto. C’è un inquilino giovane nel cortiletto che sta sistemando dei libri antichi: è uno studente di storia induista. Mentre esco dal portone si affaccia da una stanza un’anziana signora per salutarci. Anche qui, i lastroni in pietra del pavimento sono pulitissimi. L’anziano poi mi riaccompagna verso la strada interna che porta a Bengali Tola. Fa troppo caldo ora per ritornare alla guest house attraverso i ghat e le stradine tra i vecchi edifici sono un’ottima alternativa. Prima di lasciarmi l’indiano mi chiede dei soldi, ma gli regalo soltanto una piccola somma, l’equivalente per due cjai.

Varanasi, preghiera al Sitala Temple, nel Dasaswamedh Ghat.

Varanasi, preghiera al Sitala Temple, nel Dasaswamedh Ghat.

Verso sera, accanto al Dasaswamedh Ghat incontro due Agori baba: stanno seduti in cerchio, insieme ad altre persone e ad alcuni sadhu. Chiedo loro qualche informazione sul fatto che si cibano dei resti umani rimasti dopo le cremazioni e loro mi confermano che è realmente così. Tra le stradine della città vecchia, mi fermo poi in uno dei negozi che stanno vicino alla mia guesthouse: voglio ammirare degli scialli in seta vera. Ce ne sono diversi ora, appesi all’esterno della bottega; li avevo già guardati qualche giorni fa, ma erano diversi da quelli esposti oggi: questi mi piacciono, veramente! Sono simili a quelli che indossavano le donne indiane che hanno frequentato il corso di meditazione. Qualche giorno fa avevo spiegato a questo negoziante le caratteristiche degli scialli che desideravo e lui li ha procurati: sono bellissimi!
Dopo aver acquistato diversi scialli, passo al Baba Lassi ad acquistare il biglietto del treno per Delhi: da lì raggiungerò Dharamsala in autobus. Partirò fra tre giorni! Fa troppo caldo qui: oggi il termometro segnava 45°! Ora è quasi notte e i ghat sono affollatissimi, sia per la giornata di festa sia per l’aria fresca che arriva dopo il tramonto. Al Chausatti Ghat mentre parlo con Sonu, il mio amico barcaiolo, si ferma un canadese di 62 anni, appena arrivato da Rishikesh. E’ tornato a Varanasi dopo 31 anni e non vorrebbe più ripartire. Domani andrà alla stazione ferroviaria per spostare la sua partenza per Delhi e rimanere due giorni in più a Varanasi, nonostante il caldo torrido.

Varanasi, sadhu che fumano sotto un riparo dal sole.

Varanasi, sadhu che fumano sotto un riparo dal sole.

18 maggio
Fa un caldo tremendo: durante il giorno la temperatura supera i 45°. In mattinata vado a camminare un po’ oltre il Manikarnika Ghat, per fotografare il sadhu che conosce Irene: potrei averlo individuato, ma è molto dimagrito e senza la barba rispetto alla foto che Irene mi ha inviato. L’ambiente, però, è lo stesso, con le immagini delle divinità appese al muro del sottopassaggio dove vive.
Verso sera torno sui ghat che a quest’ora si riempiono sempre di più grazie alla brezza che sta portando un po’ di sollievo alla calura della giornata. Mi siedo un po’ a meditare, a pensare, a guardare la gente. Poi, vado al Chausatti Ghat, a trovare Sonu, il barcaiolo. Lo trovo triste e dolorante. Durante la notte è stato aggredito mentre dormiva su una delle barche e ha fatto a pugni. Non è ricorso alla polizia per non creare altri ulteriori problemi.

Varanasi, pranzo nuziale al Dasaswamedh Ghat.

Varanasi, pranzo nuziale al Dasaswamedh Ghat.

19 maggio
Ancora una passeggiata oltre il Manikarnika Ghat attraverso la città vecchia. Fa molto caldo ed è anche tanto umido. Mi siedo a leggere all’ombra di un terrazzamento sul Gange: è un posto ben ventilato con alcuni sacerdoti che recitano mantra e celebrano le puje. Tornando verso Bangali Tola incrocio un indiano che avevo già incontrato, seduto nello stesso gradino, qualche giorno fa. Parla l’ italiano e lavora in collaborazione con l’agenzia di viaggi Avventure nel mondo. Approfitto per sentire la sua versione sui matrimoni indiani. Mi riferisce che gli incontri prima del matrimonio si svolgono a casa della sposa e vengono concordati i soldi e i regali che la famiglia le darà. La collana d’oro e gli anelli per le dita di mani e piedi sono doni della famiglia della sposa. Il marito le regala solo delle piccole cose, ad esempio quell’ornamento che va dal naso ad un orecchio. La cerimonia si tiene in un palazzo che viene affittato per l’evento. Lì, se la famiglia della sposa se lo può concedere si svolge anche un party. Il matrimonio si considera tale dopo che la sposa ha dormito a casa dello sposo. Gli chiedo anche delle informazioni riguardo alle scuole: chiuderanno fra pochi giorni e riapriranno dopo un mese.

Varanasi, dipinti dalle parti del Dasawramedh ghat.

Varanasi, dipinti dalle parti del Dasawramedh ghat.

Verso sera vado a camminare verso il Kedar Ghat, un po’ attraverso la città vecchia un po’ sui ghat. Fa ancora caldo e le lastre del lungo Gange sono roventi anche se sono già passate le sei di sera. Per la prima volta intravedo in lontananza un cadavere adagiato su una portantina di bambù che galleggia sul Gange: molto probabilmente si tratta di un sadhu. Mi siedo a leggere al solito tempietto, sulle pietre ancora infuocate. Poco dopo arriva il mio amico sadhu che parla solo indi: una comunicazione al limite dell’impossibile! Più tardi si fermano tre studenti di ingegneria informatica dell’università di Allamabath per farsi fotografare insieme a noi e per parlare dell’India. Verso le otto raggiungo Sonu, il barcaiolo: è ancora dolorante alla spalla e turbato per l’episodio di aggressione subitodue sere fa.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Preghiera.

Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Preghiera.

20 maggio
Oggi partirò per Delhi e da lì prenderò il pullman per Dharamsala. Nella mattinata faccio un giro oltre il Manikarnika Ghat . Passando per il ghat delle cremazioni ci sono alcune pire accese. In una vedo spuntare delle lunghe gambe, forse maschili: paiono giovani e i piedi sono colorati con l’henna. Più tardi incontro l’indiano che collabora con Avventure nel mondo che mi dirà che le gambe rimangono fuori quando le persone sono troppo alte e, comunque, verranno spinte dopo nella pira per essere bruciate. L’indiano mi confermerà anche che nei due ghat delle cremazioni vivono gli agori baba. Aggiunge che oltre a cibarsi di carne dei cadaveri, a suo dire sia uomini che donne, hanno anche rapporti sessuali con i cadaveri. Con l’immagine del cadavere che brucia con le gambe rimaste fuori e i piedi colorati, mi sposto più avanti, dove c’è il terrazzamento ventilato e dove soggiornano alcuni indiani che celebrano le puja per se stessi e altri specializzati a farlo per gli altri. Mi concedono anche oggi di rimanere seduta sul loro tavolone e mi offrono anche il cjai. E’ un posto splendido che poggia sul Gange e guarda verso l’altra sponda e l’intera zona sud dei ghat.

Varanasi, cerimonia serale lungo i ghat.

Ritorno in India: Orchha e Khajuraho.

2 aprile 2015

Orchha, vista panoramica da una delle porte d'ingresso del Chaturbhuj Temple.

Orchha, vista panoramica da una delle porte d’ingresso del Chaturbhuj Temple.

Arrivo a Orchha in motorisciò: 18 kilometri per 200 rupie, quasi 3 euro. Accetto la proposta del ragazzo che guida il risciò: mi doveva accompagnare alla stazione degli autobus per 30 rupie e lungo il tragitto ho ritenuto più conveniente e pratico farmi portare fino ad una guesthouse indicata dalla lonely planet come economica. C’è anche un hotel con lo stesso nome della guesthouse ed è dello stesso proprietario: il ragazzo del risciò mi accompagna lì. Prezzo: 300 rupie per notte, circa 4,00 euro. Qui c’è il wi.fi. anche nelle camere e così ricevo subito la notizia da casa, tramite mio nipote, che ci sono delle bollette da pagare. C’è anche una mail di mio figlio: tornerà a Varanasi verso l’8 aprile. Alkesh, poi, il mio amico inglese, mi scrive in un sms, che si trovava qui a Orchha fino a questa mattina, ma ora è partito per Khajuraho dove andrò anch’io, ma dopodomani. Ci incontreremo probabilmente a Varanasi, la tappa successiva di entrambi.
Qui a Orchha fa molto caldo, ma la città è carina: si arriva da un portale con sopra un piccolo elefante rosso scolpito: il dio Ganesh. Ci sono molti templi e palazzi con guglie e cupole
sulle quali nidificano gli avvoltoi.

Orchha, il tetto del tempio Chatarbhuj.

Orchha, il tetto del tempio Chatarbhuj.

Il significato di Orchha è “luogo nascosto” forse per le stradine quasi nascoste dai palazzi e dai templi maestosi con le guglie che testimoniano la dominazione islamica avvenuta nel XVI secolo. Orchha è stata la capitale dei raja di Bundela dal XVI al XVIII secolo. Bin Singh regnò qui dal 1605 al 1627 e fece erigere il Jehangir Mahal, un complesso di edifici di architettura islamica. La costruzione si trova al di là del ponte sul fiume Betwa e riesco ad evitare il costoso ingresso che penalizza i turisti stranieri entrando da una stradina periferica che mi porta ad un piccolo palazzo, anch’esso costruito nel XVI secolo. Scorgo dei ragazzi giovanissimi e dico loro che non ho il biglietto e sto per tornare indietro. Invece loro mi invitano a visitare il vicino Ray Mahal dicendomi di salire al primo piano dove ci sono dei bellissimi dipinti.

Orchha, dipinti murali del XVI secolo, raffigurante la famiglia reale, al Raj Mahal.

Orchha, dipinti murali del XVI secolo, raffigurante la famiglia reale, al Raj Mahal.

In effetti, le pitture murali, risalenti anch’esse al XVI secolo sono molto belle e rappresentano delle donne danzanti e degli uomini a cavallo. Sono immagini dei componenti la famiglia reale di allora.

Orchha, panoramica delle pitture murali che si trovano nelle stanze del Raj Mahal.

Orchha, panoramica delle pitture murali che si trovano nelle stanze del Raj Mahal.

Seguendo le indicazioni dei ragazzi vado a visitare anche le altre strutture del complesso architettonico, in quel momento pieno di turisti francesi e spagnoli. Visito l’intera struttura e arrivo all’entrata principale attraverso il percorso inverso; la parte più bella rimane senz’altro il Ray Mahal. Nella parte opposta del Jehangir Mahal c’è il Chaturbhuj Temple: è vastissimo ed ha una struttura a pianta cruciforme. All’interno c’e un bramino che celebra le puya e riceve le offerte in cambio. Un giovane con grossi handicap fisici e privo della possibilità di parlare mi invita a salire lungo una serie di scale buie e strette.

Orchha, panorama sulla citta vista dal Chaturbhuj Temple.

Orchha, panorama sulla città visto dal Chaturbhuj Temple.

Nei vari piani posso osservare il panorama sulla città e guardare dall’alto l’interno della basilica. Sul tetto del tempio ci sono degli avvoltoi nei loro nidi: uno di loro prende il volo proprio ora, esibendo un’apertura d’ali enorme. Il ragazzo muto mi mostra una banconota da 50 rupie che sta ad indicare il prezzo della ricompensa da dargli: gliene do solo 20. E’ incredibile constatare come vengano addestrate queste persone con handicap! Avevo già osservato a Rishikesh il comportamento del fratello del titolare dell’hotel: mi ero accorta dopo qualche momento che era portatore di un deficit intellettivo perché pareva sempre impegnato al computer, diceva che non era possibile fare la cosa che chiedevo, ma sapeva contare i soldi dopo che il prezzo era stato calcolato dal fratello. Mi era venuto spontaneo un paragone con certi impiegati e amministratori inutili di un minuscolo comune dell’area collinare che, nascondendosi dietro un comportamento convenzionale e omologato, negano qualsiasi iniziativa sia per non avere problemi sia per tenere saldo il loro potere e non esporlo a rischi.

Orchha, la piazza dei poveri.

Orchha, la piazza dei poveri.

Pranzo in un ristorantino con un bellissimo topolino che corre impaurito qua e là. Ad un tavolo vicino sta seduta una famiglia: il signore mi rivolge la parola in un inglese più stentato del mio. Mi dice che è un magistrato e abita a Khajuraho. I tre figli, due ragazze grandi e un ragazzino adolescente studiano alla scuola pubblica. La moglie e la cognata si occupano soltanto della casa. C’è anche un uomo vestito con abiti simili ai militari: sta girando tra i tavoli come fosse un cameriere del locale, ma forse è la guardia del magistrato e della sua scorta. L’uomo si sposta continuamente, con un asciugamano al collo, tra il tavolo del magistrato e quello di altri due uomini in borghese. Quando se ne vanno, noto che la guardia sta portando due borse come se fosse il necessario di un pic-nik: quindi non ho ben capito se si tratti di un attendente in divisa o di una guardia del corpo. Verso sera, sulla strada di ritorno in hotel una signora abbastanza giovane, da un cancello, mi invita ad entrare. Sapevo che ci sarebbe stato un tranello, ma ho voluto constatare ugualmente lo scopo della strategia. Mi racconta che lavora come cuoca in una scuola di Orchha, che ha tre figli e mi offre un cjai che condivide con me e con il figlio maschio adolescente. Ad un certo punto la signora apre una piccola scatola di bigiotteria, ma ho appena acquistato diverse cavigliere da regalare e le dico che non sono interessata. Da una borsa, quindi, tira fuori, uno per uno, dei camicioni, ma non sono di mio gusto. Al mio rifiuto lei si contrae e il figlio mi chiede di pagare il cjai che mi avevano offerto. Mi rivolgo alla signora e le chiedo se veramente desidera che le paghi il tè. Mi ha fa cenno di no con il capo. Fuggita via, indignata, da quella casa!

Orchha, l'entrata del Ram Raja Temple.

Orchha, l’entrata del Ram Raja Temple.

Il Ram Raja Temple spicca nella piazza principale per le sue cupole di colore rosa e dorate. Si entra a piedi scalzi e si lasciano le calzature e le cinture ad un custode che non chiede soldi e si ricorda perfettamente, senza prendere alcun appunto, chi sono i proprietari. Ieri, nel pomeriggio, il tempio era chiuso, ma un prete ha celebrato ugualmente un matrimonio all’esterno, chiedendo poi, con insistenza dei soldi alle donne presenti alla cerimonia. I matrimoni qui, raramente si festeggiano con un pranzo. Le donne quando si sposano e dopo il matrimonio portano due anelli alle dita dei piedi, al secondo e al terzo dito. Secondo quanto mi raccontano qui, al momento del matrimonio lo sposo regala alla moglie anche una collana. Questi gioielli acquistano valore diverso a seconda della condizione sociale delle famiglie. Al tempio questa mattina mi siedo accanto ad una giovane: mi racconta che appartiene ad una famiglia di bramini ed è moglie di un bramino a sua volta. Porta degli anelli alle dita dei piedi e una collana d’oro di grande valore. Il suo matrimonio è stato scelto dalle relative famiglie, ma lei mi assicura di essere contenta. Ha le mani e le braccia dipinte con l’hennè, una decorazione fatta per conto suo, molto curata.

Orchha, donne che cantano e suonano di primo mattino, al Ram Raja Temple.

Orchha, donne che cantano e suonano di primo mattino, al Ram Raja Temple.

Nella mattinata, dall’apertura delle ore 7.00 fino alle 10.00, un numeroso gruppo di donne sta cantando, suonando e danzando, mentre numerosi pellegrini sfilano davanti all’immagine del dio Rama, l’unico re adorato come un dio. Davanti ad una rientranza c’è la sagoma del dio Rama, con il volto nero, avvolto in un manto rossastro; lì c’è sempre un militare di guardia. C’è anche un prete accanto, che, dalle scatole che portano i fedeli, prende una piccola parte dei dolci o dell’impasto fatto di miele, zucchero e latte e poi le restituisce al proprietario. Quello che toglie dai contenitori lo ridistribuisce ad altri fedeli. Le offerte in fiori vengono lasciate al dio Rama e lanciate sul pavimento del tempio che viene continuamente ripulito dei colorati petali usando un lungo scopino. Un altro prete e degli allievi sacerdoti, posizionati davanti ad un gruppo di sagome dal volto in terracotta che rappresentano il dio Rama dalla faccia nera, suo fratello con il volto bianco e altre figure, usando un mestolino, mettono nelle mani delle persone, che ad una a una sfilano loro davanti, dell’acqua che bevono e poi si bagnano il viso e i capelli. Anch’io ricevo l’acqua , ma non la bevo.

Orchha, celebrazione di un matrimonio davanti al Ram Raja Temple.

Orchha, celebrazione di un matrimonio davanti al Ram Raja Temple.

Il tempio chiude alle 12.00 e riapre alle 19.30 tra le urla di gioia e le braccia alzate dei fedeli. In lontananza si scorge solo il movimento delle braccia della folla che esulta, ma la procedura di saluto al dio avviene portando le mani alle orecchie, alzando le braccia e inginocchiandosi portando il volto fino a toccare il pavimento. Sempre ben controllato dai militari che vietano lo scatto di fotografie, il tempio è costantemente affollato da uomini, donne e bambini.

Orchha, adorazione e offerte ad una divinità del Ram Raja Temple.

Orchha, adorazione e offerte ad una divinità del Ram Raja Temple.

Tutti, indistintamente, portano delle borsette di plastica ricolme di fiori e dolci da donare. Inoltre, molti uomini e bambini accendono degli incensi che fanno ruotare con le mani per disegnare dei cerchi nell’aria. Ognuno, anche di sera sfila davanti ai sacerdoti per ricevere e donare le offerte e non mancano, comunque, le postazioni dei preti che ricevono le offerte. Nel tempio, i bambini e le bambine possono giocare liberamente negli ampi spazi che lo compongono e gli uomini, dopo la sfilata, vanno a sedersi in cerchio, insieme alle loro famiglie per parlare tutti insieme. Il tempio, qui ad Orchha, ma anche in diversi altri luoghi, rappresenta un grosso punto di riferimento sia per gli abitanti della cittadina sia per i pellegrini che vengono a visitarlo.

 

Orchha, rituale serale e solitario davanti al Ram Raja Temple.

Orchha, rituale serale e solitario davanti al Ram Raja Temple.

Verso sera, passo accanto al Chaturbhuj Temple e cammino ancora tra le bancarelle che vendono bracciali, collane, cavigliere e immagini sacre. Incontro il ragazzo che ieri mi ha venduto dei regalini da portare in Italia. Mi offre un cjai e mi racconta che proviene da una famiglia di agricoltori poveri e molto anziani che abita in un villaggio distante un centinaio di kilometri da qui. Ha due lavori: uno in un college distante 16 kilometri da Orchha che raggiunge ogni giorno con la motocicletta dell’istituto: là, pulisce le stanze degli studenti. L’altro lavoro è questo, qui, alla bancarella. Il suo sogno è quello di avere il suo negozio-bancarella, ma potrà realizzarlo soltanto con i risparmi che metterà da parte nell’arco di cinque anni.

Orchha, personaggi.

Orchha, personaggi.

4 aprile, verso Khajuraho
Il treno che da Jhansi va a Khajuraho attraversa una moltitudine di alberi dai fiori rossi; a momenti si aprono dei panorami con delle distese di campi colorati con le varie tonalità di giallo. Sono campi colmi di grano maturo con le donne avvolte nei loro sari colorati, che lo mietono e raccolgono poi la paglia rimasta in piccoli fasci. In alcune zone i chicchi sono già stati ammucchiati su dei teli e ora formano delle belle montagne dorate. C’è anche qualche uomo tra le tante donne dei campi, spesso alla guida dei pochi trattori che s’intravedono qua e là. Anche nelle stradine interpoderali s’intravede qualche figura maschile vestita di bianco, che se ne torna a casa in bicicletta. E’ormai sera, ma ci sono ancora delle donne che continuano a lavorare; non lontano da loro gironzolano delle capre, dei bufali ed anche dei maiali.
5 aprile 2015 Khajuraho

Khajuraho, il vecchio nucleo della cittadina.

Khajuraho, il vecchio nucleo della cittadina.

Giornata intensa, con l’incontro di prima mattina del proprietario della guesthouse che parla italiano e conosce benissimo il Friuli. Ha viaggiato molto in Italia con suo padre quando questi teneva dei corsi di yoga nelle varie città. Ora sua padre non c’è più e lui possiede oltre alla guesthouse, che preferisce seguire personalmente, anche un ashram a circa un kilometro da qui. A Khajuraho ci sono molti negozi e ristoranti con le scritte in italiano e diversi negozianti e studenti parlano la nostra lingua.

Khajuraho, la città vecchia.

Khajuraho, la città vecchia.

Un ragazzo che lavora in un negozio di oggetti antichi fra un mese e per la durata di 6 mesi, andrà all’Expo di Milano a vendere gli articoli indiani per il suo datore di lavoro. Prenderà uno stipendio mensile di circa 500 euro, una mancia settimanale di 50 euro e non dovrà provvedere né all’affitto della stanza, né al mangiare, né ai trasporti. Un altro ragazzo che parla molto bene l’italiano mi mostra il suo negozio appena aperto. Preferisce tenere pochi articoli di gioielli d’argento e pietre, ma di qualità. Verso sera, quando lo vedo andar via in moto molto prima della chiusura dei negozi, il proprietario della guest house mi racconta che il ragazzo ha chiuso il negozio in anticipo in quanto ha concluso dei buoni affari con un gruppo di turisti spagnoli. Nella mattinata del giorno successivo, visito il gruppo di templi della zona ovest, quelli che stanno proprio accanto alla mia guesthouse. Il percorso si svolge in senso orario.

Khajuraho, turisti in visita al gruppo di templi occidentali.

Khajuraho, turisti in visita al gruppo di templi occidentali.

Visito il tempio di Varaha che è dedicato a Vishnu e alla sua incarnazione sotto l’aspetto di un cinghiale: è scolpito in pietra arenaria ed è alto 1,5 metri. E’ stato scolpito nel 900 d.C. insieme a numerose altre divinità del tempio. Accanto a questo edificio c’è un tempio dedicato a Lakshmi: entrambi questi santuari guardano verso il grandioso Lakshmana Temple, anch’esso dedicato a Vishnu, una costruzione durata circa 20 anni e completata verso il 954. Il tempio presenta delle sculture in rilievo di guerrieri, di musici, di cavalli, di elefanti, di animali mitologici, di dei e di dee che s’intrecciano in modo armonico intorno a tutto l’edificio.

Khajuraho, Varaha Temple. Costruito nel 900 e dedicato a Vishnu reincarnato sotto l’aspetto di un cinghiale.

Khajuraho, Varaha Temple. Costruito nel 900 e dedicato a Vishnu reincarnato sotto l’aspetto di un cinghiale.

Il Kandariya Mahadev Temple, costruito tra il 1025 e il 1050, è il più vasto di Khajuraho e contiene un grandissimo numero di scene erotiche con bellissime figure femminili, alte e snelle. Molte sculture raggiungono 1 metro di altezza. Le mithuna, cioè i rilievi erotici, sono delle opere di grande valore artistico. Le sensuali ninfe celesti, denominate surasundari diventano apsaras quando danzano; le donne mortali, scolpite in diverse posizioni, paiono fuoriuscire con forza dalla prigione di pietra che le trattiene.

Khajuraho, figure scolpite, in rilievo, al Varaha Temple. Costruito nel X secolo è dedicato a Vishnu reincarnato sotto forma di un cinghiale.

Khajuraho, figure scolpite, in rilievo, al Varaha Temple. Costruito nel X secolo è dedicato a Vishnu reincarnato sotto forma di un cinghiale.

Il piccolo tempio di Mahadeva è dedicato a Shiva: ospita la scultura mitica di una sardula, creatura mitologica in parte leone e in parte un altro animale, a volte anche una figura umana, scolpita mentre accarezza un enorme leone.
Il Devi Jagadamba Temple, costruito tra il 1000 e il 1025, è simile ad un altro importante tempio, il Chitragupta, costruito subito dopo. Il Devi Jagadamba Temple, all’origine era dedicato a Vishnu, poi è passato a Parvati e alla fine alla dea Kali. Le sculture posizionate verso l’alto rappresentano delle surasundari, delle figure con specchi, ornamenti e fiori che hanno il ruolo di prendersi cura degli dei; stanno insieme a Vishnu e a molte altre, scolpiti in posizione erotica. Il Chitragupta Temple è dedicato a Surya, il dio del sole e contiene degli splendidi rilievi di apsara, cioè di ninfe celesti danzatrici, bellissime, ed anche delle sarasundari, le curatrici delle dee e degli dei.

Khajuraho, particolare dei corpi in rilievo al Chitragrupta Temple, gruppo occidentale.

Khajuraho, particolare dei corpi in rilievo al Chitragrupta Temple, gruppo occidentale.

Accanto al Chitragupta sorge il tempio dedicato a Parvati, la moglie di Shiva: al suo interno c’è un’immagine di Gauri a cavallo di un’iguana.
Il Vishvanath Temple e il Nandi Shrine sono posizionati sopra delle gradinate delimitate da figure di elefanti e leoni. Le sculture dell’edificio sono composte da sensuali e provocanti surasundari rappresentate mentre suonano, scrivono o si occupano dei bambini.

Khajuraho, Kandarja Mahadeva Temple. Costruito tra il 1025 e il 1050, è il più vasto di Khajuraho e contiene un grandissimo numero di scene erotiche.

Khajuraho, Kandarja Mahadeva Temple. Costruito tra il 1025 e il 1050, è il più vasto di Khajuraho e contiene un grandissimo numero di scene erotiche.

Nel Matangesvara Temple si trova un lingam di Shiva, il simbolo fallico del dio, alto ben 2.5 m.
Nel pomeriggio in moto risciò vado a visitare alcuni altri templi sparsi intorno alla città vecchia: contengono diverse sculture simili a quelle del gruppo occidentale. Decisamente diverso e recente nella sua costruzione in quanto risalente a soli 100 anni fa è il tempio giainista di Shanti Nath che ospita numerose sculture provenienti da antichi templi.

Khajuraho, interno dell tempio giainista di Shanti Nath.

Khajuraho, interno dell tempio giainista di Shanti Nath.

Una camminata veloce all’interno del villaggio della città vecchia rende visibile una realtà rurale molto povera, con donne e uomini seduti a chiacchierare lungo la stradina del centro abitato.

Khajuraho. madre con bambini nel villaggio della old town.

Khajuraho. madre con bambini nel villaggio della old town.

C’è un unico negozio nella città vecchia, che vende oggetti di ottone del tutto uguali a quelli che pullulano nella città nuova.

Khajuraho, il villaggio della città vecchia.

Khajuraho, il villaggio della città vecchia.

La sera prendo il treno per Varanasi e mi sveglio il mattino dopo, verso le 7.00. C’è stato un gran movimento di passeggeri, sia durante la notte che al mattino molto presto. Guardo fuori dal finestrino e vedo ancora distese di campi con la paglia del grano già raccolta in fasci ammucchiati per formare degli enormi covoni. C’è qualcuno già al lavoro nei campi, ma soltanto per falciare quel poco di grano rimasto da mietere.

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Ritorno in India: Bundi, Pushkar e Rishikesh.

Bundi è una cittadina molto movimentata e suggestiva con delle stradine molto strette e diversi templi e tante case dipinte di azzurro. Ci fermiamo in una guest house a gestione familiare: una coppia sui 40 anni, un bambino di sette anni, una figlia di sedici anni, molto studiosa, che desidera diventare medico. Le condizioni economiche della famiglia sono modeste: il marito fa piccoli lavoretti in una radio-tv locale, ma per diversi anni ha prestato servizio nella polizia di Stato a Jansalmer. La guest house ha solo due camere che occupiamo Alkesh ed io. Questa è anche la casa dove abitavano i genitori del marito: ora è rimasta soltanto la madre che gironzola pigramente per casa, ma vive ritirata in una camera con tv, pur avendo soltanto 64 anni. Pur non disponendo di grandi risorse i due figli della coppia frequentano entrambi una scuola privata, molto costosa. Ci dicono che è stata una scelta obbligata in quanto, anche secondo loro, la scuola pubblica in generale, in India, non è di buona qualità.
In questo luogo di favola, tra queste splendide colline, soggiornò lo scrittore Rudyard Kipling. Abitò in un piccolo palazzo, nel Sukh Mahal, poco distante da Bundi, dove scrisse una parte del suo celebre romanzo Kim.

Bundi, vista panoramica dal Bundi Palace.

Bundi, vista panoramica dal Bundi Palace.

Dopo una ripida salita sulla collina della cittadina, andiamo a visitare il Taragarh, un insieme di abitazioni e templi costruito nel 1354 dal quale si può ammirare un panorama splendido su tutta la zona. Il palazzo interno, il Bundi Palace è un bellissimo edificio mal conservato che contiene numerosi affreschi, molto trascurati pure loro. Poco più in alto, sulla collina stessa, c’è il Chhatra Mahal, eretto nel 1644, che possiede numerosi e splendidi affreschi con alcune immagini di Krishna rappresentato nei diversi mesi dell’anno. Nella parte situata ancora più su, di fronte ad un cortile c’è il Chitrasala, una serie di stanze e colonne costruite nel XVIII secolo da Rao Umed Singh.

Bundi, dipinto all'interno del Bundi Palace.

Bundi, dipinto all’interno del Bundi Palace.

Qui si possono ammirare diverse stanze decorate con splendidi dipinti tra i quali una fantastica danza in cerchio composta da sole donne. Dalla parte del cortile il panorama sulle case bleu e sulle colline è incantevole.

Bundi, rappresentazione murale di danza.

Bundi, rappresentazione murale di danza.

Scendiamo più a valle e dopo una lunga camminata tra le vie Rniji-Baori e Nagar Sagar Kund ci fermiamo ad osservare le botteghe dei fabbri, degli orafi, dei falegnami e dei sarti. Raggiungiamo poi il mercato Sabzi, la zona delle bancarelle delle verdure che sta appena fuori le mura, a sud della città e pranziamo lì, in una bancarella. Riprendiamo il cammino e torniamo verso nord dove sta la zona del grande mercato: qui trascorriamo molto tempo fermandoci ad osservare i numerosi negozietti e le bancarelle disposte lungo le stradine ed i piazzali.

Bundi, mercato. Motociclette con contenitori per il trasporto del latte.

Bundi, mercato. Motociclette con contenitori per il trasporto del latte.

11 marzo 2015
Oggi grande tour in motorisciò, nei dintorni di Bundi. Raggiungiamo Rameshwar e saliamo la gradinata che porta al Main Temple dedicato a Shiva e prosegue poi verso la cascata sacra. Il tempio è formato da una grotta con delle stratificazioni calcaree sovrapposte verticalmente. La cascata ha una forma circolare, anzi, cilindrica con un’ampia apertura che pare accogliere e racchiudere all’interno le persone. C’è molta energia qui, tra la natura composta dall’elemento terra, dall’acqua, dalla vegetazione e dagli animali che ci abitano. Ora la cascata è quasi asciutta ed è in attesa del monsone che l’alimenterà abbondantemente. Ci sono alcuni pellegrini che fanno il bagno e pregano nella pozza formata dalla cascata; ogni tanto dall’alto cade qualche sasso, spostato dai movimenti delle scimmie che si arrampicano e saltano con familiarità senza intimorirsi per la presenza delle persone. A momenti e quasi all’improvviso partono stormi di uccelli che escono dai buchi della roccia per andare velocemente verso il cielo aperto. Restiamo per un po’ incantati da questa atmosfera magica e poi torniamo verso il villaggio.

Bundi, dintorni. Bagno e preghiera alla cascata di Rameshwar.

Bundi, dintorni. Bagno e preghiera alla cascata di Rameshwar.

Accanto ad un tempietto, più sotto c’è una tettoia in legno e paglia e un guru seduto immobile, nella stessa posizione che aveva quando siamo arrivati. Ci avviciniamo e ci accorgiamo che è cieco: lo è diventato 25 anni fa. Vive qui a Rameshwar, nell’ashram che sta lì accanto, insieme ad altre quattro persone. Parla in indi, tastando continuamente dei petali di rosa e ogni tanto Alkesh mi traduce quello che ci racconta.

Bundi, dintorni. Sadhu cieco vicino all'ashram in cui vive, nel villaggio di Rameshwar.

Bundi, dintorni. Sadhu cieco vicino all’ashram in cui vive, nel villaggio di Rameshwar.

C’è un canto, un mantra, continuo che proviene dal tempio: è il Ramayan, una lettura cantata di salmi che dura 12 ore, con un’alternanza delle persone impegnate nella preghiera ogni 2 ore. Dopo questo villaggio raggiungiamo Akoda dove visitiamo dei laboratori di vasi in terracotta che qui utilizzano come contenitori per l’acqua filtrata.

Bundi, villaggio di Akoda. Il cortile di un laboratorio di contenitori per l'acqua, in terracotta.

Bundi, villaggio di Akoda. Il cortile di un laboratorio di contenitori per l’acqua, in terracotta.

Ci spostiamo poi a Thikarda dove visitiamo un palazzo appartenuto al maragià e ora abitato da una famiglia di agricoltori. Torniamo a Bundi e ci fermiamo al ristorantino del mercato delle verdure per il pranzo e rientriamo in guest house. Ci lasciamo con l’accordo di ritrovarci qui per la cena.
Dopo un giro tra le bancarelle del mercato principale rientro in guest house per leggere e scrivere un po’. Mi distendo sul letto lasciando la porta aperta: dopo qualche tempo arriva la proprietaria per chiedermi di pagare il conto, dal momento che partirò domani. Mi chiede la penna e un foglio di carta e fa il conto: noto che per una delle cene il prezzo è aumentato da 100 rupie a 150, senza che me lo avesse comunicato prima. Pago in anticipo la cena che verrà più tardi e anche il the dell’indomani; non ho i soldi esatti e le dico che il resto di 400 rupie me lo potrà dare in seguito. La cena è composta da un chapati imburrato, yoghurt con riso, frutta tagliata a pezzettini con verdura. Alla fine il marito porta un avocado intero, ma sia Alkesh che io siamo sazi e accettiamo la proposta di mangiarlo a colazione, l’indomani. Al mattino la signora porta un piattino con una parte di avocado tagliata a pezzettini: ne assaggio due. Quando poi, mi darà il resto tratterrà 100 rupie: alla mia perplessità tornerà in cucina a prenderne altre 50. Chiedo se è per la colazione, mi risponde di sì! Per noi europei si tratta di poca cosa, le 100 rupie in più per noi equivalgono a meno di due euro, ma il comportamento della signora non m’è piaciuto. E mi ci è voluta almeno un’ora per smaltire la delusione provata.

Bundi, dintorni. Laboratorio di pentoloni in acciaio.

Bundi, dintorni. Laboratorio di pentoloni in acciaio.

Arrivo a Puskar, da sola, nel tardo pomeriggio. E’ una cittadina molto vivace e pulita, ma estremamente turistica. Si sviluppa attorno ai ghat che danno sul lago, un luogo sacro frequentato da pellegrini che vengono a fare il bagno e a celebrare i rituali affidando i petali di rosa e garofani alle acque consacrate del bacino. Pushkar è una città molto frequentata anche dai turisti occidentali che s’incontrano numerosi a passeggio sulla Via Sacra e nei tantissimi negozi e ristoranti che si aprono tutto intorno. Visito il Brahma Temple, affollatissimo di pellegrini, in particolare uomini. C’è sempre un sacerdote che attende i fedeli, recita delle preghiere e auspica gli venga data un’offerta. Anche nei sotterranei ci sono dei sacerdoti che ti fanno sedere e ti disegnano un punto rosso sulla fronte, in cambio di un’offerta in denaro. Sui ghat ci sono dei ragazzi e degli uomini in camicia bianca e pantaloni anch’essi bianchi o semplicemente neri. Sono pronti a catturarti per darti un fiore e recitarti una preghiera. Ieri e stamattina sono riuscita a svicolare, ma questo pomeriggio mi si è avvicinato un giovane e non mi ha dato tregua fino a che non ho accettato un fiore e un mantra in cambio di una obbligata offerta, naturalmente!

Pushkar, rituali sul lago sacro.

Pushkar, lago sacro. Celebrazioni di puja per pellegrini.

Nel pomeriggio lungo le vie del centro c’è stato un lunghissimo corteo di uomini e donne, alcuni a cavallo, altri seduti sopra dei cammelli. Si trattava di un raduno nazionale di induisti sostenitori di un guru importante, scomparso nel 1986: Maharshi Mehi Paramhans Ji Maharai. Circa 5000 persone provenienti da ogni parte dell’India, composte da uomini con coloratissimi turbanti, in abito tradizionale o anche con miseri vestiti all’occidentale, donne coloratissime, di ogni età, a volte con i bambini in braccio o per mano, sadhu vestiti di giallo o arancione: tutti hanno sfilato al ritmo dei tamburi per la città per ricordare il loro guru.

Pushkar, corteo di un raduno nazionale di pellegrini indù sostenitori del guru Maharshi.

Pushkar, corteo di un raduno nazionale di pellegrini indù sostenitori del guru Maharshi.

14 marzo
Oggi passeggio attraverso il percorso inverso della camminata spirituale intorno al lago sacro, ma ad un certo punto, improvvisamente arriva una tempesta di ghiaccio e poi un temporale che non finisce mai. Le strade si sono inondate in un attimo e i negozianti hanno ritirato rapidamente le loro merci sotto le linde e all’interno delle botteghe. Oggi è sabato e la cittadina è affollata di pellegrini che camminano sotto la pioggia, a volte scalzi, a volte con il capo riparato da uno scialle. La temperatura si è notevolmente abbassata e, devo dire, meno male che mi sono portata alcuni capi abbastanza pesanti. Verso sera, in un momento senza pioggia, incontro una processione partita dal Rama Valkunth Temple per portare in corteo un baldacchino con la statua del dio su dei cavalli addobbati con allegre stoffe Il corteo è illuminato da lampade grandi come se fossero al neon portate da donne; ci sono degli uomini col volto dipinto e il tutto è rallegrato da un gruppo di suonatori con trombe e tamburi. E’ il festival del Rama Valkunth Temple e le processioni si terranno tutte le sere, per dieci giorni. L’atmosfera che creano questi cortei è davvero magica!

Pushkar, processione serale per il Festival del Rama Valkunth Temple. Ogni sera per 10 giorni.

Pushkar, processione serale per il Festival del Rama Valkunth Temple. Ogni sera per 10 giorni.

15 marzo
E’ domenica e mi azzardo a camminare per dei vicoletti sconosciuti. Incrocio diverse guest house affollatissime e ornate da distese di coloratissimi abiti appesi alle reti di protezione dei balconi: mi dicono che sono alloggi riservati esclusivamente ai pellegrini indiani. Camminando, incrocio moltissime persone che vanno nella stessa direzione. Le seguo e arrivo ad un enorme tendone arancione e rosso con accanto delle tende e con il terreno ricoperto da una moquette, anch’essa di colore rosso. E’ lo stesso meeting induista in onore del guru che avevo incontrato in un corteo, due giorni fa.

Pushkar, aspetti del convegno indù durante l'intervento del giovane guru Swami, seguace di Maharishi.

Pushkar, aspetti del convegno indù durante l’intervento del giovane guru Swami, seguace di Maharishi.

Circa 5000 persone si sono accampate sotto il tendone e attendono il discorso del seguace del vecchio guru scomparso: Swami Vyasanand Ji Maharaj. L’iniziativa ha la durata di 6 giorni durante i quali i pellegrini pregano, dormono e pranzano nel campo. L’organizzazione è efficientissima. Sul palco ci sono i cantori da una parte e i sadhu dall’altra: tutti uomini. Arriva anche l’atteso guru con una corte di uomini. Parlerà a lungo, dopo una serie di preghiere recitate dai cantori. I pellegrini sono collocati in modo diverso: quelli che mangiano e dormono lì stanno in una zona separata da una transenna in quanto, mi riferiscono, “sono sporchi”, mentre quelli “puliti” si siedono nel sotto palco, in una zona privilegiata. Tutti i pellegrini sono rigorosamente disposti su due grandi file: da una parte ci sono solo uomini, dall’altra solo donne. All’esterno, sulla strada, per l’occasione, sono arrivate numerose bancarelle con cibi, bigiotterie, pentole e scolapasta che bucano lì, sul posto. Ci sono anche dei sadhu che vendono dei tessuti con qualche difetto, ma a buon prezzo.

Pushkar, mercatino all'ingresso di un meeting nazionale indù.

Pushkar, mercatino all’ingresso di un meeting nazionale indù.

16 marzo
Girando per le stradine, in direzioni diverse, quasi per caso, ritrovo il tendone del meeting induista: si concluderà questa sera. Che peccato! Intorno all’accampamento ci sono ancora le numerose bancarelle di ieri e sul retro della struttura sono ancora allestiti diversi piccoli habitat con dei teli che sembrano delle tende canadesi e con una serie di pentole, fornelli e tavoli per preparare e consumare i pasti. Oltre questo accampamento ci sono i cammelli con i carri pronti per trasportare i turisti in trekking di lunga durata nel deserto. In questa zona ci sono dei venditori di erba per le mucche che i pellegrini acquistano per darla da mangiare a questi animali che considerano sacri. Tornata in città rimango molto tempo seduta ai ghat del lago, spostandomi, dopo un po’, da uno all’altro. A momenti leggo, ma in genere osservo le modalità con cui i ragazzi e gli uomini abbordano i turisti per celebrare la puja e obbligarli a dare loro un’offerta. Donano dapprima un fiore o dei petali, poi li accompagnano e si siedono accanto a loro vicino all’acqua del lago, quindi, recitano dei mantra portando più volte l’acqua nelle mani del cliente abbordato. Sono molti i turisti occidentali, in particolare le giovani coppie, che accettano più o meno forzatamente questi rituali a pagamento. Oggi non ho voluto prendere il fiore che diversi uomini mi offrivano sui ghat del lago, ma uno di loro mi ha bloccata mentre, assorta nei miei pensieri, salivo la scalinata. Rapidissimo, mi ha colorato il punto rosso sulla fronte, ma poi, ha imprecato a lungo quando mi sono rifiutata di dargli dei soldi.

Pushkar, aspetti di un ghat con i petali dei rituali che galleggiano sull'acqua e di donne accanto al tempietto.

Pushkar, aspetti di un ghat con i petali dei rituali che galleggiano sull’acqua e di donne accanto al tempietto.

Dopo aver cenato con il thali in un ristorantino tradizionale e molto semplice, mi sono fermata nel cortiletto della guest house. Più tardi mi si è avvicinata una signora francese della mia stessa età. Al suo paese, ha un negozio dove rivende gli oggetti d’argento e antichi che acquista durante i mesi in cui viaggia in India. Quando non c’è, il suo negozietto francese rimane chiuso.

Pushkar, il Rama Vaikunt Temple dove gli stranieri non possono entrare.

Pushkar, il Rama Vaikunt Temple dove gli stranieri non possono entrare.

17 marzo
Giornata tranquilla dedicata a passeggiare lungo la strada principale, all’acquisto di qualche gingillo, alla lettura del mio e-book, allo spostamento tra i ghat. Oggi ci sono diverse celebrazioni di puja qui sui ghat, ed anche degli scrivani di lettere attorniati da folti gruppi familiari che spiegavano loro i concetti da trasformare in frasi scritte. Dopo cena mi siedo sul banco di un negozio chiuso a sbucciare e mangiare arachidi. Una coppia di anziani tunisini, molto simpatici, si ferma a scambiare due chiacchiere. Stanno facendo una breve sosta a Pushkar: sono in viaggio con un taxi da Delhi a Jaipur e poi andranno a Varanasi. Non si sono fidati a spostarsi per conto loro qui in India e, arrivati a Delhi, si sono lasciati catturare da una delle numerosissime agenzie che invadono la città. Subito dopo si ferma una signora svizzera: era un’infermiera psichiatrica al suo Paese, ma si è licenziata in quanto non reggeva più quel tipo di lavoro. Ha 57 anni e dovrà inventarsi un lavoro per gli otto anni che le mancano per raggiungere l’età della pensione. Sta pensando di aprire un negozio in Svizzera per rivendere gli oggetti d’argento indiani, ma potrà, inoltre, tenere delle lezioni di yoga dal momento che pratica da anni questi esercizi. La rivedo l’indomani per una visita all’hotel dove sta e per chiacchierare ancora insieme. L’hotel è un vecchio palazzo del marajà ora diventato di proprietà del governo. Forse risale agli inizi del ‘900 ed ha ampi spazi aperti con un bellissimo panorama che dà sul lago di Pushkar. In un cortile interno ci sono i resti di un altare ed è un luogo molto carico di energia. Qui, a volte, Ursula, la signora svizzera, pratica lo yoga, ma sceglie anche altri spazi compreso il terrazzo che si apre dalla sua camera. Parliamo in inglese, ma conosce qualche frase d’italiano in quanto è stata la compagna di un uomo di Lecce per 13 anni. Ursula ha figlio, un giovane di 28 anni. Il padre se n’è andato quando lui aveva pochi mesi. Chiacchierando con intervalli di lunghi silenzi, ci beviamo il cjai su uno dei terrazzi che guardano verso il lago. Osserviamo dall’alto le varie fasi delle puja riservate ai turisti, siamo d’accordo nel disapprovare il metodo con cui vengono effettuati gli approcci e le contrattazioni per ricavare soldi dalle preghiere molto spesso imposte.

Pushkar, cammelli in attesa di turisti per il trekking.

Pushkar, cammelli in attesa di turisti per il trekking.

Sono in partenza da Pushkar: quando torno alla mia guest house scopro che avrei dovuto lasciare la camera 6 ore prima e mi chiedono di pagare un’altra notte per la mia disattenzione. In effetti, avevo capito che non c’erano problemi, che avrei potuto lasciare i miei bagagli fino alle 16.00, ma in uno sgabuzzino e non nella mia camera. In pratica, avevo frainteso: avrei dovuto lasciare la stanza libera alle 10.00 e riporre gli zaini alla reception. Vabbeh, raggiungo la stazione degli autobus a piedi: a due passi dall’arrivo si ferma un ragazzino in moto risciò e mi dice che la stazione è lontanissima e mi ci avrebbe portata per 30 rupie. Non gli ho dò retta: in effetti la stazione è proprio lì, dietro l’angolo. Attendo nella sala d’aspetto della ditta e quando arriva il pullman un ragazzino mi accompagna alla corriera.

Pushkar, pellegrina al ghat.

Pushkar, pellegrina al ghat.

Un signore sale con me e spinge sotto gli sleeping bed il mio zaino. Per questo servizio vuole 20 rupje che non ho. Ne ho 500, ma lui non ha il cambio; comunque lo rassicuro che era tutto compreso nel biglietto e lui se ne va. Il viaggio fino a Haridwar è faticoso: il mio posto-letto è in alto, dondola e sussulta ad ogni curva e ad ogni buca della strada: il mio stomaco sta malissimo e Haridwar sembra non arrivare mai. Quando finalmente la corriera si ferma non trovo più i miei preziosi sandali. Li cerco per un po’ insieme agli autisti, ma sono veramente spariti. Pazienza: tolgo dallo zaino le vecchie scarpe da ginnastica Prada, rattoppate dal calzolaio di Varanasi e mi aggrego ad un gruppo composto da due amiche cinesi, una israeliana, un ragazzo inglese e parto con loro, in motorisciò, per la vicina Rishikes. Giro un po’ per trovare una stanza ad un prezzo ragionevole. Ce ne sono di costose, discrete, e di più economiche, ma orribili. Trovo qualcosa di accettabile per me: non è il massimo, ma è in centro a Lakshman Jhula, uno dei due villaggi più importanti di Rishikesh ed ha internet che funziona abbastanza!

Rishikesh, il ponte sospeso di Lakshman Jhula visto dal tempio di 13 piani.

Rishikesh, il ponte sospeso di Lakshman Jhula visto dal tempio di 13 piani.

20 marzo 2015
Oggi m’incammino verso la parte denominata Swarg Ashram, quella che racchiude la maggior parte degli ashram e delle scuole di yoga. Dista circa due chilometri da Lakshman Jhula, dove abito, e dove c’è il raggruppamento delle guest house e degli hotel. In entrambi i nuclei ci sono un’infinità di templi, ristorantini e negozi. All’estremità del villaggio di Swarg Ashram si vedono numerosi sadhu: molti di loro passeggiano oppure se ne stanno seduti a gambe incrociate, in solitudine. Molti dormono in strada, altri abitano in casupole ricoperte di lamiera e plastica, oppure in grotte sulle rive del fiume sacro. In un gruppo di casupole, uno studente della scuola per sadhu di Rishikesh mi racconta che lì ci vivono 18 guru che qui chiamano baba. Tra le casette fai da te dei sadhu non mancano delle abitazioni un po’ più grandi, costruite con la stessa tecnica e abitate da diverse famiglie. Tra i ripari arrangiati, da un recinto mi vengono incontro, abbaiando, numerosi cani di razza, ben curati. Subito dopo, dall’interno della recinzione sbuca una distinta signora europea: mi racconta che abita lì da molto tempo, che i suoi genitori sono tedeschi, ma lei è nata in Spagna dove ora risiede la sua figlia ventiquattrenne. La signora ha sposato un indiano di Rishikesh e vivono insieme lì, in questa baracca sulle rive del Gange. Tornando verso il mio hotel, attraverso il ponte di Ram Jhula e raggiungo Rishikesh Town dove trovo la stazione delle corriere e dei taxi. Guardo le destinazioni degli autobus che partono da Rishikesh e vanno a: Manali, Delhi, Pushkar, Jaipur, Haridwar, Agra e qualche altra destinazione, ma il problema di dove andare dopo questa cittadina me lo porrò nei prossimi giorni.

Rishikesh, il ponte di Ram Jhula, a Swarg Ashram.

Rishikesh, il ponte di Ram Jhula, a Swarg Ashram.

I villaggi di Swarg Ashram e Rishikesh Town sono molto simili a Lakshman Jhula e alla parte abitata che sta al di là del fiume, quella denominata Hight Bank. Ci sono perfino due ponti sospesi e traballanti, rigorosamente uguali, che congiungono i due più importanti nuclei abitati di Lakshman Jhula e Swarg Ashram con la parte che sta dall’altra parte del fiume. Lungo la spiaggia che si ammira anche dal ponte Ram Jhula ci sono altre abitazioni essenziali di sadhu: in una di queste ci abitano in otto. A Swarg Ashram arrivano molti pellegrini per visitare il tempio dedicato a Shiva, e anche qui, come negli altri fiumi e laghi sacri, molti si bagnano nell’acqua sacra e recitano la puja, ma in modo molto tranquillo e riservato. Rientrando, mi fermo a visitare il Parmath Niketan Ashram: me lo aveva indicato Alina, la ragazza che stava con mio figlio a Varanasi. Dovrò tornare domani per avere le informazioni che mi servono: oggi, il mio top troppo scollato non mi ha permesso di accedervi. Ritorno in hotel con la cena fai da te: arachidi, banane, mandarini, un dolce al latte, un buon ginger preparato con il mio fornellino elettrico.

Rishikesh, villaggio di Swarg Hashram. Cottura del pane di mais.

Rishikesh, villaggio di Swarg Hashram. Cottura del pane di mais.

21 marzo
Ritorno a Swarg Ashram e al Parmarth Niketan Ashram mi dicono che non c’è posto fino ad aprile. Dovrei aspettare 10 giorni per accedervi! Proseguo il cammino e torno all’estremità del villaggio, dove ci sono le abitazioni spontanee dei sadhu. Giro un po’ lì intorno e finalmente individuo l’ashram Maharishi, dove nel 1968 hanno soggiornato i Beatles per due mesi, il tempo per comporre diverse canzoni del loro White Album. La struttura è ormai abbandonata ed è vietato accedervi. Solo pagando 100 rupie a degli individui che stanno all’interno del cancello incatenato, si può visitare il parco. L’edificio, ormai in disuso e mal ridotto è visibile dal parco esterno, dove stanno le diverse capanne abitate dai sadhu.

Rishikesh, il ponte Lakshman Jhula al tramonto.

Rishikesh, il ponte Lakshman Jhula al tramonto.

Camminando verso ovest e seguendo il fiume scopro una grotta adibita ad abitazione e un po’ più su, salendo dei gradini trovo una bella capanna con una vasta tettoia. Mi distendo su un tavolone, sotto la tettoia e assaporo l’energia intensa che racchiude questo posto. Dopo un po’ di tempo, dall’abitazione esce un ragazzo vestito di giallo, un giovane sadhu, con un secchio di alluminio e va a lavarsi sotto, nel Gange. Molti dei numerosissimi sadhu che incontro sono cordiali, ma altri sono molto scostanti. Diversi chiedono con insistenza l’elemosina, mentre altri sono molto colti e dignitosi. Sono sempre più convinta che tra gli uomini arancione ci siano diversi poveracci e, molti di loro privi di una preparazione spirituale. Anche qui, come mi è già capitato in altre parti del mondo, si siede accanto a me un giovane uomo per offrirsi di venire nella mia stanza. In questo caso si tratta di un ragazzo vestito di arancione, degli stessi abiti che usano i sadhu. Torno indietro verso il centro abitato e mi siedo su una delle numerose panchine che stanno sulla strada che fiancheggia il fiume. Leggo una parte di Bijou, di Patrice Modiano e meno male che mi piace questo libro. Ho appena terminato Libertà di Franzen e non era proprio di mio gusto. E’ l’ora del tramonto e tra l’altro è sabato: i templi sono affollati di turisti e pellegrini. In spiaggia, a nord del ponte Ram Jhula, ci sono parecchie persone che giocano, fanno il bagno, nuotano, ridono e si divertono. Non c’è traccia della religiosità degli altri luoghi sacri e forse le puya sono concentrate solo nei ghat, ma sono poche.

Rishikesh, tramonto sul Gange a Swarg Ashram.

Rishikesh, tramonto sul Gange a Swarg Ashram.

22 marzo
Chiedo delle informazioni nel mio hotel, che è anche un’agenzia di viaggi, sui trekking che organizzano, ma sono molto costosi e preferisco organizzarmi per conto mio. Qui, a Rishikesh, il business si svolge intorno allo yoga, agli ashram, al rafting, al trekking, ma anche sulla vendita dei biglietti degli autobus e del treno. Decido di andare da sola alla cascata di Patna. All’imbocco della stradina incontro un ragazzo che mi accompagna alla cascata e poi, insieme a lui raggiungo il villaggio e la casa dove abita. Lui, Sonu, ha 25 anni ed è sposato con una donna di 24, ha un figlio di tre anni e una bimba di un anno. E’ molto infelice: il suo matrimonio è stato deciso dalle famiglie.

Rishikesh, villaggio di Patna. Cernita del grano.

Rishikesh, villaggio di Patna. Cernita del grano.

Vive al villaggio, a suo dire coltiva un grande orto, che non mi mostra, e va a vendere i prodotti a Rishikesh trasportandoli con l’asino. Aiuta anche la madre nella piccola tea stall che sta all’incrocio tra la strada principale e il sentiero che porta alla cascata prima e al villaggio poi. Il suo desiderio è quello di avere un’altra moglie, ma lo potrebbe fare solo se l’attuale fosse d’accordo, ma non lo è. Lui, riguardo al matrimonio indiano mi dice che è soltanto un atto religioso senza alcuna procedura giuridica, ma vige la consuetudine di avere solo una moglie e un solo marito. Sonu desidera immensamente comunicarmi la sua inquietudine per chiarire a se stesso la propria situazione esistenziale. Mi dice che forse, fra un anno potrebbe avere un lavoro a Delhi in un’azienda di distribuzione, con un salario di 8.000 rupie al mese, poco più di 100 euro. Dovrebbe pagare, però, un affitto per la stanza ed il viaggio per tornare ogni settimana in famiglia. Gli piace anche il lavoro della tea stall che è di proprietà del governo ed è gestito da sua madre, una donna minuscola di 67 anni, quasi cieca e senza denti, che sembra molto più anziana della sua età. Lei, ogni giorno scende all’alba dal villaggio di montagna e impiega mezz’ora di cammino. Rientra a notte inoltrata e dorme su una rete di rami intrecciati posta nel soggiorno dell’abitazione. In quella casa abita la famiglia di Sonu, un anziano zio con la sua quarta moglie e un altro zio. L’anziano zio, rimasto vedovo per ben tre volte, ha 98 anni e dispone di una sua camera che divide con la moglie attuale, ormai ottantenne. Nell’altra camera dorme Sonu con la moglie e i due bambini. La madre e l’altro zio dormono in quello che io definisco un soggiorno, sulle reti che durante il giorno vengono usate per sedersi. La moglie di Sonu è strabica, ha i denti sporchissimi e veste in modo tradizionale, ma trasandato: non è mai andata a scuola e non sa nè leggere nè scrivere. Ci serve del cibo costituito da una pastella di riso riscaldata, dei pinoli, dell’acqua filtrata e un cjai. Non rimane in nostra compagnia: preferisce stare con l’anziana zia, a curare il grano, sullo spiazzo di cemento esterno. Il bambino di tre anni ha avuto un gran febbrone il giorno prima, ma ora sta meglio. Entrambi i bambini sono sporchi e non curati. E’ domenica, non c’è scuola naturalmente e ci sono molte ragazzine che girano per casa e tengono in braccio a turno la bambina piccola. Tutte frequentano la scuola pubblica del villaggio che pur essendo di qualità scadente funziona fino all’ottava classe. Anche Sonu ha seguito quel percorso ed ha frequentato fino all’ultima classe di questa scuola. Le altre classi, quelle che arrivano fino alla dodicesima sono a Rishikesh e pochi se lo possono concedere. Pago il pranzo anche se Sonu non vorrebbe e mi riaccompagna fino alla tea stall della madre: lui desidera andare là!

Rishikesh, villaggio di Padna. La raccolta delle sementi.

Rishikesh, villaggio di Padna. La raccolta delle sementi.

Lungo la strada del ritorno spezza un rametto da un albero e lo usa a lungo, come fosse uno spazzolino, per pulirsi i denti. Si ferma, poi, a tagliare delle schegge da un tronco con una scure che tiene nascosta dietro un albero. Mette le schegge in un sacco di plastica, anche quello preso da un nascondiglio e porta la legna alla madre. Ritorno verso Rishikesh, e lungo la strada ritrovo il gruppo di scimmie che avevo incontrato all’andata. Stanno mangiando delle patatine e delle banane che i turisti appena passati hanno dato loro. Questo scimmie hanno il pelo più lungo e sono molto più docili e timide, rispetto a quelle che vivono a Varanasi. Cammino ancora e mi meraviglio della enorme quantità di strada percorsa all’andata. Potrei attraversare un ponte e andare dall’altra parte a prendere l’autobus, ma invece proseguo ancora lungo questa via. Finalmente si ferma un fuoristrada per darmi un passaggio, concordo il prezzo per evitare spiacevoli sorprese. Ormai non manca molto al centro abitato e l’autista accetta la mia offerta di 20 rupie: meno di 30 centesimi. E’ l’ora del tramonto e vado a sedermi nel ghat vicino al ponte Lakshman Jhula. Chiacchiero un po’ con una ragazza giapponese di 27 anni, laureata in legge, in viaggio in India dal novembre dello scorso anno. Anche lei è stata a Pushkar e anche lei come me si chiede cosa ci trovi di interessante così tanta gente! Torno in hotel, chatto un po’ e mi ritiro in camera a guardare le foto, a scrivere sul diario, a leggere.

Rishikesh, villaggio di Swarg Ashram. L'ashram Maharishi che ha ospitato i Beatles nel 1968, ora abbandonato.

Rishikesh, villaggio di Swarg Ashram. L’ashram Maharishi che ha ospitato i Beatles nel 1968, ora abbandonato.

23 marzo
Oggi sono ritornata a Swarg Ashram nel parco e lungo la riva del Gange, nei pressi del Maharishi Ashram, dove hanno soggiornato i Beatles e ora in disuso e pericolante. Mi piace questo luogo abitato da molti sadhu con le loro simpatiche abitazioni. Accanto al Maharishi ci sono delle costruzioni in cemento, alcune chiuse, altre occupate o abitate da sadhu. Probabilmente erano dei ristoranti e delle tea rooms, negli anni ’60 e ’70. Oggi non ho seguito il solito percorso per arrivarci, ma ho camminato all’esterno del nucleo abitato, ho raggiunto un enorme e affollato parcheggio di fuoristrada che stavano in attesa dei turisti che in quel momento erano impegnati a girare per le stradine del villaggio. Da lì ho attraversato la foresta attraverso una strada sterrata e sono arrivata fin qui. Vicino al Maharishi Ashram mi fermo ad osservare una colonia di scimmie che sta sugli enormi alberi del parco. Sono sempre incantata ad osservare questi simpatici animali: alcune scimmie stanno allattando i loro piccoli, altre stanno spulciandosi l’una con l’altra e a momenti mi lanciano degli sguardi impauriti. Mentre sono totalmente persa ad osservare le scimmie mi raggiunge la voce di un turista peruviano che mi sta chiedendo dove sia l’ashram dei Beatles. E’un medico di 62 anni, in pensione che sta viaggiando in India da tre mesi. Alloggia al Parmarth Niketan Ashram, proprio dove desidero andare, ma non c’è posto, per ora. Mi siedo a leggere sulla riva del fiume e vedo che la grotta abitata è aperta e fuori c’è un giovane disteso che si gode il tepore del sole. Ritorno verso il villaggio e mi fermo a pranzo al solito ristorantino che sta sulla strada. Arriva anche un ragazzo israeliano che mi informa riguardo ai nuovi risultati elettorali del suo Paese e alla sua speranza di un cambiamento radicale riguardo al problema palestinese. Mi racconta che in Israele il servizio militare per i giovani è obbligatorio e dura due anni per le ragazze e tre per i maschi. “Puoi rimanerci ancora se tu lo vuoi” aggiunge “ma questo avviene soprattutto se loro ti scelgono”. Nel pomeriggio indosso una maglietta a mezza manica e un paio di pantaloni lunghi e torno al Parmarth Niketan Ashram: parlo con la signora che qualche giorno fa mi aveva chiesto di tornare con le spalle coperte e le dico che è troppo lunga l’attesa fino al primo aprile per poter stare lì. Mi risponde che posso partecipare alle cerimonie e alle lezioni di yoga, donando un’offerta, anche se non soggiorno lì. Alle 15.00 vado alla lezione di yoga dove incontro il medico peruviano. La lezione è interessante: dura un’ora, ma è più ginnica che mentale ed è piuttosto faticosa. Terminata la lezione fuggo velocissima a cercare una tea stall che trovo dopo aver attraversato il ponte.

Rishikesh, villaggio di Swarg Ahshram, verso sera.

Rishikesh, villaggio di Swarg Ahshram, verso sera.

Cammino un po’ tra le bancarelle e vado a sedermi e a leggere nel ghat più animato del Gange. Qui stanno preparando i tappeti e i tavoli per la cerimonia della sera. Intorno gironzolano diverse bambine che stanno vendendo piattini di cartone con dentro fiori, incenso e una candela: sono le offerte al Gange per chiedergli di realizzare i nostri desideri. Le bambine sono molto insistenti. Dopo un po’ riprendo il cammino per Ram Jhula e compro della frutta e della verdura per la cena. Nella sala computer dell’hotel mi fermo un attimo per guardare le novità su internet, poi mi rifugio come al solito in camera.

Rishikesh, turisti al ghat accanto al ponte Ram Jhula.

Rishikesh, turisti al ghat accanto al ponte Ram Jhula.

24 marzo
Stanotte mi sono svegliata alle 2 e ho fatto fatica a riprendere sonno. Ho sentito di nuovo la voce di mia madre che mi chiamava con il modo affettuoso che ogni tanto lei sapeva esprimere. Non è la prima volta che mi capita questa suggestione durante questo viaggio. L’altra sera l’ho anche sognata: stava accanto al corpo di mio padre. Lui, stava disteso sul cassone di un camion, ormai consumato dalla vecchiaia e bagnato dai bisogni fatti addosso, ma sorridente. Nel sogno chiedevo a mia madre se lui mi avesse riconosciuta e lei aveva risposto di no. Che significato avrà mai questo sogno? Forse mi sento in colpa per lui che non ha avuto nulla dalla vita se non la preoccupazione di dare a noi figli tutto quello che lui non aveva avuto. Sono nata quando lui, mio padre, aveva 25 anni e lavorava come muratore. Subito dopo ha trovato un posto fisso alla miniera di Cave del Predil e lì è rimasto per ben trent’anni. Non posso non paragonare quella realtà di quasi 70 anni fa alla situazione che vivono diversi ragazzi indiani ora: si sposano poco più che ventenni, diventano padri subito dopo e si adattano a qualsiasi lavoro per provvedere alla famiglia. Anche la condizione femminile non è molto diversa, anzi, si può paragonare ad un periodo ancora più lontano, rispetto agli uomini, cioè a quella che vivevano le nostre nonne nell’immediato primo dopoguerra.
Sono preoccupata per mio figlio che sta ancora in Nepal, ma proprio ora sono arrivate sue notizie tramite mail. Esco dall’hotel più tranquilla e mi dirigo verso il centro del villaggio per bere un cjai in una delle tante tea stall che fiancheggiano la strada.

Rishikesh, aspetti di un ghat del villaggio di Swarg Ashram.

Rishikesh, aspetti di un ghat del villaggio di Swarg Ashram.

Poi, seguo la scia dei pellegrini che lascia le scarpe in custodia su degli scaffali e poi sale delle scale per attraversare i tredici piani di templi dedicati a Shiva e alle numerose altre divinità del Shri Trayanbakshwar Temple.

Rishikesh, coppia in pellegrinaggio al tempio di 13 piani di Lakshman Jhula.

Rishikesh, coppia in pellegrinaggio al tempio di 13 piani di Lakshman Jhula.

Ci sono diversi uomini in questo gruppo di pellegrini, tutti vestiti con gli abiti bianchi della tradizione indiana: un giubbino corto arricciato sulla schiena, dei pantaloni larghi con il cavallo basso, degli orecchini tondi, d’oro o dorati sulla parte alta delle orecchie.

Rishikesh, arrivo di un pellegrinaggio al Shri Trayanbakswar Temple, il tempio di 13 piani di Lakshman Jhula.

Rishikesh, arrivo di un pellegrinaggio al Shri Trayanbakswar Temple, il tempio di 13 piani di Lakshman Jhula.

Sto camminando molto anche oggi e nel pomeriggio non sono in forza per tornare alla lezione di yoga. Attraverso il ponte di Lakshman Jhula, risalgo fino alla Main road e la percorro fino all’altro ponte, al Ram Jhula.

Rishikesh, il ponte di Lakshman Jhula visto da Rishkesh Town.

Camminando per Swarg Ashram percorro la via contraria rispetto a ieri, arrivando alla stradina che dall’ashram dei Beatles porta al parco e al grosso parcheggio di taxi e fuoristrada. Da qui, i gruppi turistici, mi dicono, proseguono a piedi fino al tempio che dista 7 kilometri: il Neelkantha Mahadev Temple. Nel tardo pomeriggio rimango a lungo seduta su un tavolone di un ashram abitato soltanto da famiglie indiane: il Gita Bhanean Ashram. Qui, ogni abitazione è essenziale ed ha all’esterno un tavolo basso dove le persone si distendono per riposare. L’ashram è molto pulito ed è vigilato da un guardiano. In mezzo al giardino-cortile c’è un tempio dove è rigorosamente vietato scattare foto. A lato c’è un affresco di una mucca con un uomo che le succhia il latte dalle mammelle; la stessa immagine l’avevo già incontrata al Gau Ghat di Pushkar.

Rishikesh, Swarg Ashram. Immagine su una parete del Gita Bhaneashraman Ashram.

Rishikesh, Swarg Ashram. Immagine su una parete del Gita Bhaneashraman Ashram.

C’è una grande insegna all’esterno di questo ashram con l’indicazione dei diversi Gita presenti sia qui, sia in altre città dell’Uttarakhand contraddistinti da una denominazione e un numero di riferimento differenti. Deduco, quindi, che ci sono diversi Gita che appartengono alla stessa organizzazione non governativa. Più tardi, mi sposto sulla spiaggia. Lì, tutte le sere, all’ora del tramonto, c’e un gruppo di turisti non più giovani che cantano, suonando il flauto e la chitarra. Anche qui delle bambine e una donna girano tra la gente per vendere fiori e incenso da donare al fiume sacro. Alcuni turisti bambini giocano e lasciano trascinare dalla corrente delle barchette di carta che stanno resistendo per un lungo tratto alla forza del fiume.

Rishikesh, tipologie aqbitative lungo il Gange.

Rishikesh, tipologie abitative lungo il Gange.

25 marzo 2015
Ritorno ancora a Swarg Ashram, attraverso un percorso ancora diverso. Dal ponte di Lakshman Jhula sono salita attraverso la scorciatoia fatta di gradinate raggiungendo la strada principale e poi, di nuovo, ho attraversato l’altro ponte, il Ram Jhula. Entro di nuovo alla reception del Parmarth Niketan Ashram per chiedere se si è liberata una stanza e con sorpresa riesco ad ottenerla da dopo domani e per cinque notti. Quindi, farò l’esperienza dell’ashram alla quale tengo molto!

Rishikesh, sera nel cortile interno del Parmarth Niketan Ashram.

Rishikesh, sera nel cortile interno del Parmarth Niketan Ashram.

Dopo il pranzo al mio solito ristorantino di strada, salgo al Bhootnath Temple: niente di particolare! Si tratta di una costruzione iniziata nel 1952 e poi proseguita con un’architettura moderna, ma anonima, sviluppata su sei piani con delle terrazze tutto intorno a delle stanzette per ogni piano. La sensazione è di grande freddezza, con qualche scultura di lingam di Shiva e alcuni dipinti delle divinità esposti in due, tre cappelle. Il panorama dai piani alti è senz’altro bello: dà sul bosco e sul Gange, ma è offuscato da una leggera nebbiolina. Per un po’ di tempo non vedo nessuno, poi, incrocio alcuni ragazzini che stanno scendendo le scale. Arrivo in cima e in una stanza compare la figura di un sacerdote che sta tranquillamente leggendo il giornale. Ha un banchetto davanti a lui con sopra una girandola di banconote da 10 rupie e mi invita con insistenza ad accucciarmi per ricevere il segno rosso sulla fronte. Non ne ho voglia, ma insiste per darmi una manciata di riso soffiato e così mi sento in dovere di dargli l’offerta. Torno al villaggio e mi sposto nella zona della spiaggia; rimango all’ombra degli alberi, sulla stradina soprastante, in quanto fa ancora molto caldo e solo dopo qualche tempo, scendo a leggere, sugli scogli. Ritornando, verso sera, al villaggio di Lakshman Jhula incontro un ragazzo con il quale scambio ogni giorno qualche parola. Ha 26 anni, abita a Haridwar e ogni sera torna a casa prendendo il moto risciò e poi il treno per rifare il percorso inverso la mattina dopo. Qui, lungo la strada tra i due villaggi ha affittato una bancarella in acciaio e vende occhiali da sole. Paga 500 rupie al mese, circa 7 euro, e non può permettersi di acquistare un banchetto suo in quanto costa 10.000 rupie, circa 140 euro. Già da qualche giorno desidera farmi un regalo e nonostante le mie resistenze oggi mi mette al polso un bracciale di perline blu. Vado alla bancarella della frutta e verdura: devo scambiare 500 rupie e, non controllo il resto! Mi fido! Torno in hotel e mi accorgo che dal resto mancano 50 rupie. Che fare? Ormai! Equivalgono a meno di un euro, ma la cosa mi dispiace!

 

Rishikesh, accanto al ponte di Ram Jhula. Cantore di mantra cieco.

Rishikesh, accanto al ponte di Ram Jhula. Cantore di mantra cieco.

26 marzo 2015
Vado a prendere il cjai alla tea-stall accanto al tempio dei 13 piani e chiacchiero un po’ con tre russi della Siberia che sono in viaggio da quasi tre anni. Per pagarsi le spese, hanno lavorato a Bangkok: la ragazza ha posato come modella mentre i ragazzi hanno lavorato come camerieri. Scendo poi al vicino ghat e incontro una ragazza di 20 anni che sta viaggiando in India con il suo ragazzo, anche lui ventenne. Lei, Marina, ha terminato il liceo artistico e non sa ancora quale facoltà sia più opportuno scegliere per l’università. Vuole fare una scelta concreta che la porti veramente ad uno sbocco lavorativo. Lui non ha terminato il liceo e non intende riprendere gli studi. Si sono conosciuti all’Isola d’Elba dove lui risiede e dove lei andava in vacanza tutti gli anni con la famiglia.

Rishikesh, la strada all'esterno del Parmarth Ashram.

Rishikesh, la strada all’esterno del Parmarth Ashram.

Lasciata Marina che torna al suo ashram-guesthouse, m’incammino sulla strada che porta al villaggio di Swarg Ashram. Lungo il percorso mi si affiancano due giovani donne indiane, con un bel gruppo di figli. Sono due sorelle del Panjab, di religione sikh: sono arrivate in autobus a Rishikesh per un pic-nik lungo il Gange. La figlia più grande ha 11 anni, parla molto bene l’inglese, sta frequentando la settima classe e vuole diventare medico. Ora, mi racconta, le scuole sono chiuse per un mese, fino alla metà di aprile. Durante questa pausa ci sarà il passaggio o meno degli allievi da una classe all’altra. Attraversando varie regioni dell’India ho notato che i mesi di vacanza cadono in periodi diversi, a seconda del clima molto freddo oppure troppo caldo. Più tardi vado a sedermi e a leggere sulle panchine che stanno sulla stradina che fiancheggia dall’alto la riva del fiume. Dopo un po’ vengono a sedersi accanto a me due famiglie indiane con dei figli. Le bambine, di circa 8 anni sono vestite con abiti coloratissimi, ma sintetici, fatti di pizzi, merletti e balze, che ricordano le bambole che negli anni ’50-‘60 da noi usavano mettere in mezzo ai letti. Le bimbe mi guardano con attenzione, anzi, non staccano proprio gli occhi da me. Non parlano l’inglese: mi chiedono con dei gesti, di scattare loro delle foto e quando arriva il momento di salutarci mi mettono al polso un braccialetto che una di loro si è appena sfilato per regalarmelo. Vado a pranzo come al solito ristorante sulla strada che porta all’insediamento dei sadhu, non distante dall’ashram che ha ospitato i Beatles.

Rishikesh, villaggio di Swarg Ashram. La zona abitata dai sadhu.

Rishikesh, villaggio di Swarg Ashram. La zona abitata dai sadhu.

Torno anche oggi nella zona dove stazionano i guru e i sadhu: mi piace osservare il loro ritmo di vita! Sono le 16.00 e c’è un gruppetto che sta prendendo il tè all’esterno di una capanna. Sono molto cortesi e mi invitano a sedere accanto a loro. C’è anche una donna sadhu ed è la prima volta che ne incontro una. Parlano soltanto indi ed è difficilissimo per me comunicare, così, li ringrazio per l’invito e continuo la mia passeggiata. Sulla strada del ritorno, incontro il ragazzo della bancarella degli occhiali. Stasera vuole regalarmi una collana che dedica al prossimo Durga Puya. Io non vorrei, ma per lui questa offerta è un vero porta fortuna!
27 marzo
Percorro i 2 kilometri che separano Lakshman Jhula da Swarh Ashram con lo zaino grande sulle spalle e lo zainetto sul davanti. Ora abito nel Parmarth Niketan Ashram: un’esperienza che volevo fare. L’ashram è di buona qualità e i suoi ospiti sono sia indiani sia turisti che appartengono alla classe medio-alta. Pago 500 rupie al giorno, circa 7 euro, compresi i pasti e le attività di yoga. Volendo, a parte, c’è un centro ayurvedico con diverse attività interessanti tenute da medici specializzati in quel tipo di terapia. La stanza che mi viene assegnata è molto bella: un mini appartamento, quasi! Le finestre sono alte e danno sulla strada principale dalla quale, di notte, arrivano le voci della gente che dorme sulla via. Non esiste il silenzio della notte qui, per cui il mio sonno seppur sereno non è mai profondo. I pasti sono tre: la colazione costituita da una zuppa di legumi e dal cjai, il pranzo e la cena, sempre vegetariani, ma ogni volta diversi. C’è una zuppiera dalla quale si prende o ti servono al banco il riso lesso con il dhal che si aggiunge sopra. Poi ci sono delle altre verdure costituite da patate, carote, pomodori e una specie di rapa, tagliati a pezzettini e cucinati in umido tutti insieme. Spesso ci sono delle carote e dei cetrioli crudi, senza condimento e delle fette di pane che sembrano delle omlette, il chapatì. Qualche volta servono anche una zuppa di riso e latte zuccherata o delle palline gialle, asciutte, molto dolci. La cucina è quasi vegana se non fosse per quel riso cotto nel latte. Dopo il pranzo vado alla lezione di yoga: oggi è meno massacrante di qualche giorno fa. Alle 17.00 c’è la cerimonia sul Gange, con canti e grossi fuochi accesi. Il ghat è affollato, ma io ci rimango poco e vado a cercare lo zenzero per la mia tisana che in questo villaggio pochi vendono.

Rishikesh town. Bancarelle.

Rishikesh town. Bancarelle.

28 marzo
Oggi mi sono svegliata presto, ma non in tempo per la lezione di yoga delle 6 del mattino. Dopo il mio tè preparato in camera, mi avvio nella zona yoga dell’ashram e trovo il gruppo del cantante melodico che avevo già ascoltato ieri sera. Mi aggrego alla loro attività di yoga che si svolge in modo molto soft. Quando il cantante, accompagnato da una donna che strimpella uno strumento a corde inizia le lezioni di canto melodico, rimango un altro po’e poi me ne vado a leggere!
Nel pomeriggio, la lezione di yoga la sta tenendo un ragazzo francese che da un anno vive in India. Risiede a Londra, ma è rientrato là soltanto per rinnovare il visto per l’India che dura 6 mesi. E’ una lezione molto interessante in quanto interviene a correggere le posture, le mie in particolare, con molta umanità. Verso sera torno sulla bella, animata spiaggia e mi siedo a leggere su uno degli scogli. Tornando verso l’ashram incrocio il ragazzo della bancarella degli occhiali. Sta andando a prendere il risciò al di là del ponte per andare alla stazione ferroviaria e prendere il treno per Haridwar, dove abita con suo padre. Sui ghat c’è molta gente questa sera: è sabato e nei weekend la cittadina si riempie di pellegrini e turisti che, al tramonto e verso sera, affollano i ghat e la spiaggia per la puya e per godersi l’energia del fiume sacro.
29 marzo
Giornata di pioggia al mattino. Mi rintano sotto i porticati della zona yoga e poi su un divano di un salone a leggere. Nella zona yoga c’è un bel gruppo di ragazzi e ragazze che stanno facendo esercizi di teatro-yoga, ma li guardo solo un momento e poi ritorno a leggere, in solitudine. Quando smette di piovere cammino fino a Lakshman Jhula, all’agenzia dell’hotel dove alloggiavo per vedere se sono pronti i biglietti per Jhansi, da lì per Khajuraho e poi per Varanasi. Farò delle tappe: mi fermerò ad Orchha che raggiungerò da Jhansi, andrò poi a Khajuraho e infine, ritornerò a Varanasi, dove incontrerò di nuovo mio figlio che tornerà lì dal Nepal. Non ho fatto una scelta ponderata a prenotare i biglietti in questo posto; mi son lasciata prendere dalla simpatia che provavo per il ragazzo che lavora lì e, oltre ad aver pagato molti soldi in più per i biglietti, non li avrò se non alla vigilia della partenza. Ritorno verso l’ashram attraversando i due ponti nella direzione opposta e nel pomeriggio vado a leggere sulla riva del fiume, sulla mia adorata spiaggia. Prendo un cjai ad uno dei due ristoranti del villaggio di Ram Ashram, dove, in vetrina, per attirare i clienti, troneggiano dei personaggi in carna e ossa, grandi e grossi, vestiti e truccati come fossero dei buddha. All’interno osservo che diverse famiglie della nuova middle class vengono in gita qui a Rishikesh e pranzano al ristorante. Verso sera assisto, in parte, alla cerimonia serale che si svolge sul ghat di fronte al Niketan Ashram, ma questi rituali sofisticati non mi coinvolgono più di tanto.

Rishikesh, villaggio di Swarg Hashram. Cottura del pane di mais.

Rishikesh, villaggio di Swarg Hashram. Cottura del pane di mais.

Preferisco fare una camminata verso la zona dove stanno i sadhu. Con mia grande sorpresa trovo la muraglia che fiancheggia la stradina affollata da sadhu e mendicanti. Fa freddo questa sera e il muro offre loro un buon riparo. Questi sadhu girovaghi saranno almeno un centinaio che di giorno si spostano con le coperte sulle spalle e una sacca come bagaglio e la sera dormono all’aperto. Chiedo loro se dormono qui e mi rispondono che non hanno un altro posto dove andare.
30 marzo
Oggi sveglia alle 5.30 e partecipazione alla lezione mattutina di yoga. Per fortuna la tiene il ragazzo francese che è il migliore dei tre maestri che si alternano. Parlo un po’ con Isabel, una ragazza francese figlia di padre vietnamita e di madre francese che vive in Nuova Caledonia. Sta viaggiando per un periodo di quattro mesi che prolungherà, probabilmente. Dopo la settimana che trascorrerà qui, al Parmarh Ashram, si sposterà al villaggio di Lakshman Jhula, al Shiva Ashram, dove frequenterà per un mese dei corsi di yoga e di meditazione. Poi, andrà in Vietnam, ad Hanoi, e qui, visiterà, in particolare, Dalat, la città dove è nato suo padre. Da Oh Cimin volerà in Francia per conoscere dei parenti e dopo si vedrà. E’ laureata in economia e, in Nuova Caledonia lavora in una banca: ora si è presa un periodo sabbatico. Se prolungare o meno il periodo sabbatico che avrebbe termine alla fine di agosto, lo dovrà comunicare per la fine di aprile. Probabilmente lascerà quel lavoro per intraprendere un’attività legata all’informazione sull’alimentazione vegana, alla preparazione di cibi senza zucchero, senza latte e uova. Isabel ritiene importante anche praticare il digiuno, necessario per lasciar riposare l’organismo.

Rishikesh, gruppo di donne emancipate al ghat di Swarg Ashram.

Rishikesh, gruppo di donne emancipate al ghat di Swarg Ashram.

Nel pomeriggio cammino a lungo per i ghat: in uno incontro un allegro ed emancipato gruppo di donne di Haridwar che sta facendo il bagno nel fiume con meno inibizione delle altre indiane. Passeggiando lungo la stradina parallela alla principale scopro che ci sono ancora degli altri ashram con il nome “Gita”. Alcuni sono abitati da famiglie, altri da persone singole. Non devono quasi mai pagare l’affitto. Ce ne sono diversi di ashram con lo stesso nome Gita che appartengono a questa associazione umanitaria che amministra le donazioni versate per questo scopo. Nel pomeriggio altra lezione di yoga, ma la ragazza non è all’altezza del ragazzo della mattina e gli esercizi che propone sono slegati ed è più ginnastica che yoga.

Rishikesh, Swarg Ashram. Cortile interno dell'ashram Gita Bhanean.

Rishikesh, Swarg Ashram. Cortile interno dell’ashram Gita Bhanean.

31 marzo
Anche oggi sveglia presto e via alla lezione di yoga. La lezione è all’aperto, sul prato, tra cani che si ricorrono e scimmie che camminano sugli alberi e lassù, sui tetti. L’insegnante è una delle due ragazze, quella che non avevo ancora incontrato. Diciamo che è più motivata dell’altra, ma con qualche piccolo miglioramento da fare in una parte della lezione che secondo me rimane troppo ginnica e poco mentale. Terminata la lezione, vado a leggere lungo la scalinata che porta alla spiaggia e lì incrocio ancora il ragazzo della bancarella degli occhiali. Mi aveva vista mentre percorreva la strada che dalla stazione degli autobus e poi dal ponte porta alla sua bancarella. Si siede accanto a me felice di avermi trovata per caso. Gli parlo dei miei figli e dei nipoti e ci incamminiamo assieme lungo la strada che porta alla sua bancarella: io proseguo per il villaggio di Lakshman Jhula dove dovrei recuperare i biglietti del treno per spostarmi a Orchha, già domani. Il ragazzo della bancarella ha voluto regalarmi altre due collane: questa volta da portare a mia nipote.
Nel pomeriggio non vado alla lezione di yoga e preferisco rimanere a leggere nella stradina che fiancheggia la spiaggia sul Gange. Alle 18.00 ho appuntamento con Isabel che mi farà un massaggio con un metodo che ha imparato a Bali. Userà un olio ricavato da un fiore che cresce soltanto lì.

Rishikesh, tramonto sul ghat.

Rishikesh, tramonto sul ghat.

1 aprile.
Partenza a piedi alle 5.00 di mattina dall’ashram per raggiungere la stazione dei risciò: prezzo concordato 200 rupie per il trasporto fino ad Haridwar train station.
Il viaggio in treno fino a Jhansi è tranquillo. Guardando dal finestrino osservo che il paesaggio si sta facendo sempre più agricolo: tornano i grandi campi di frumento a volte già raccolto in grandi fasci a volte in via di mietitura e più spesso con soltanto una grande distesa di colore giallo intenso. Trascorro il tempo del viaggio con la lettura de “La famiglia Kernoski” che mi dà la possibilità di capire più in profondità la fase della persecuzione degli ebrei nel periodo nazista. A volte dialogo con dei ragazzi: uno studia ingegneria civile e un altro ingegneria elettrica in un’università privata della loro città: Ujjain. Saranno, in tutto, una ventina di ragazzi e stanno facendo insieme un viaggio di due giorni nella zona di Haridwar. Tra loro posso scorgere soltanto due ragazze. Un giovane, già laureato in ingegneria civile, sta viaggiando per conto suo; mi racconta che sta facendo dei periodi di prova per ottenere un incarico. Diversi studenti appartengono alla prima casta, quella dei bramini e alcuni alla seconda, che comprende i sarti e gli agricoltori. Tutti aspirano ad entrare a far parte dell’esercito in futuro, ma mi dicono che è molto difficile superare i test di ammissione. Appartengono a famiglie che possono permettersi i costi della scuola privata, che, contrariamente ad altri pareri, mi riferiscono essere più facile e con meno esami rispetto all’università statale. Per quanto riguarda il sistema delle caste mi raccontano che la suddivisione è sostanzialmente composta da tre parti, ma che all’interno di ciascuna ci sono un’infinità di altre scomposizioni. Mi riferiscono ancora che gli abitanti si riconoscono tra loro sulla base della casta a cui appartengono e che i matrimoni avvengono per amore, loro dicono, ma all’interno della stessa casta. Nel mio scompartimento ci sono anche due bramini di Gwalior, padre e figlio che non parlano inglese, ma un assistente universitario ci fa da interprete. Sembrano due fratelli: il padre ha 70 anni, ne dimostra molti di meno, forse grazie allo yoga che pratica da sempre. E’ un seguace della filosofia dei Veda ed è stato per lunghi anni maestro di yoga proprio al Parmarth Ashram di Rishikesh. Il figlio, invece, celebra le puya in un tempio di Gwalior. Per non sbagliare la stazione di Jhansi, in cui scendere, mi aggrego ad una numerosa semplice famiglia indiana che mi accompagna in motorisciò nella zona degli hotel in quanto non ci saranno autobus per Orchha fino a domani mattina. Contratto il prezzo dell’hotel: 500 rupie, pari a circa 7 euro: sono tante per questa cittadina che non offre nulla!