Varkala 2015, (Kerala meridionale)

Papanasham beach.

Kerala meridionale, Varkala. Papanasham beach.

28 novembre 2015

Sto viaggiando ancora con Richard. Dormiamo in una squallido e sporco hotel di Kollam e la mattina di buonora, in autobus, raggiungiamo Varkala. E’ una cittadina di mare con un’infinità di hotels e guest house già invasi dai turisti occidentali, ma il suo culmine lo raggiungerà verso Natale. Il mare è stupendo: le grosse onde arrivano con una grande forza divertendo i turisti che si tuffano appena raggiungono la spiaggia e scompaiono lasciandosi trasportare dalla loro forza per poi riemergere divertiti. La sera all’ora del tramonto la Papanasham Beach si affolla ancora di più e assume un fascino da favola con la luce tenue del crepuscolo che l’avvolge.

Varkala beach.

Kerala meridionale, Varkala Beach verso sera.

Verso mezzogiorno visitiamo il Janardhana Temple all’interno del quale si sta svolgendo la cerimonia dei girotondi intorno alla cappella centrale con preti e fedeli che cantano muovendosi in corteo.

Kerala meridionale, Varkala.Preghiera al Janardhana Temple, sulla Beach Road.

Kerala meridionale, Varkala. Preghiera al Janardhana Temple, sulla Beach Road.

All’ingresso del tempio una donna mi dice che non posso entrare con il top; il mio compagno di viaggio si toglie la sua maglia inzuppata di sudore e me la mette sulle spalle. Niente, la devo proprio indossare mentre lui come uomo può entrare a dorso nudo. Il tempio presenta all’ingresso delle statue fortemente

erotiche; all’interno c’è un grande baniano e degli altari dedicati a Ayyappan, ad Hanuman e ad altre divinità hindu. Nella cappella è vietato entrare ai non induisti, per cui appena mi vedono all’interno, nell’intento poi di scattare una foto, i guardiani mi cacciano ferocemente.

Varkala, pranzo al Janardhana Temple.

Varkala, pranzo gratuito al Janardhana Temple.

E’ l’ora del pranzo: da lontano giunge il canto del muezzin e qui, ai piedi della scalinata che porta al tempio hindu, sotto un porticato, ci sono dei grossi pentoloni ricolmi di riso e salse e delle persone che distribuiscono il pranzo disponendolo su dei grandi piatti di metallo. Tra i commensali c’è una ragazza bionda: è una turista austriaca, sorridente con il piatto ricolmo di riso e legumi.

29 novembre 2015

Passeggiamo in spiaggia di buon mattino e facciamo il bagno tra le onde tumultuose; poi intraprendiamo una lunga camminata e arriviamo fino alla Black Beach. Il tratto che separa la Papanasham Beach dalla Black Beach è facilmente percorribile dall’alto e ad un certo punto si apre con un panorama stupendo. Da lontano si scorgono delle canoe, delle barche di pescatori, dei bagnanti e anche dei windserfisti che sfidano le onde impetuose. Dall’alto arrivano dei deltaplani che si abbassano sulla spiaggia e tornano verso l’alto scomparendo sopra le rocce e il villaggio delle guest houses.

Varkala, la spiaggia.

Kerala meridionale, Varkala. La spiaggia.

Ci fermiamo a bere un cjai in un ristorantino con la terrazza affacciata sul mare. E’ disposto su due piani e sia sotto che sopra ha allestito due enormi pareti di libri internazionali: ce ne sono numerosi anche di italiani. Con sorpresa scopro uno degli ultimi libri da me letti: Libertà di Jonathan Franzen. Questa sera metterò anch’io dei libri lì: quelli che ho portato dal meeting internazionale delle Women in Black di Bangalore.

Varkala. Papanasham Beach di sera.

Varkala. Papanasham Beach di sera.

Camminando verso la Black Beach attraversiamo numerose ville con giardini curatissimi e delle persone sdraiate al sole su dei lettini da mare. Anche i ristoranti sono pieni di turisti occidentali che trascorrono la maggior parte del loro tempo tra spiaggia, ristorante, sedie a sdraio e amache dei giardini. Dopo un po’ arriviamo in un curatissimo parco pubblico sul mare pieno di palme e erba appena tosata. Sulla riva, una lunga fila di pescatori sta tirando dal mare una fune di plastica più volte annodata e che non finisce mai. Ci aggreghiamo a loro per un momento nel tiraggio della fune e poi scendiamo tra gli scogli richiamati dalle grida di un gruppo di uomini. Sono altri pescatori che stanno contrattando il prezzo di vendita della loro pesca e ci dicono che non vogliono essere fotografati. Torniamo su e vediamo uno dei capi pescatori con una grossa mazzetta di soldi e più avanti altre corde in fase di tiraggio e delle barche nere messe a riposare. Arriviamo fino ad una bella moschea bianca e verde che sta proprio sulla riva del mare; due donne velate sono sedute sul muretto vicino al portale e nemmeno loro desiderano essere fotografate. Dalle informazioni raccolte, sia i musulmani sia i cattolici presenti a Varkala, nonostante le diverse moschee e le numerose chiese, si aggirano soltanto sul 20%, mentre gli induisti prevalgono con il 60%.

Varkala. Papanasham Beach.

Varkala. Papanasham Beach.

30 novembre

Mattinata a passeggio sulla Papanasham Beach. Incrociamo un gruppo di pescatori che sta raccogliendo il pesce dalle reti e lo accatasta sulla spiaggia. Più avanti c’è un gruppo animato di gente: mi avvicino e finalmente capisco a cosa servono quei cumuli di sabbia a mo’ di tomba. Sono i posti dei guru e proprio qui si svolgono le puja. I celebranti, sotto i piccoli ombrelloni colorati, siedono sopra il cumulo rivestito di una stoffa gialla o rossa. Accanto tengono l’ombrello. Tutti hanno un tabernacolo con una candela accesa all’interno e qualche ciotola, alcuni vasi, un piatto ricolmo di petali, un secchio d’acqua di plastica con un piccolo recipiente per celebrare le puja, un seggiolino di plastica per far sedere i clienti. Piove e forse pioveva di più quando i celebranti sono arrivati dal momento che accanto al loro ornamentario tengono anche un ombrello chiuso, ma bagnato. I celebranti saranno 15-20, i fedeli pochi. I celebranti sono poco colorati rispetto a quelli di Varanasi ed anche più pigri dal momento che avvicinano i clienti soltando con qualche cenno della mano.

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Varkala Beach. Tramonto.

Ci sediamo in un ristorante per la colazione: lì, seduto accanto al nostro tavolo c’è un austriaco di mezza età al quale si aggiunge più tardi un ragazzo cileno. Da sotto mi chiama l’altro austrico, quello anziano già incontrato nella visita ai villaggi di Kochin e poi sul barcone da Alappuzha a Kollam. E’ in costume e sta facendo una camminata lungo la spiaggia.

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Varkala, sera sul lungo mare.

Torniamo in guest house e Richard si accorda con il proprietario per allarmarmi sulle alluvioni presenti nei dintorni, da Kanniyakumari a Chennai fino alle Andamane.

La spiaggia di Varkala.

Varkala Beach.

Vorrebbe restare ancora lì, ma io gli dico che voglio partire e continuare il viaggio da sola. Me lo ritrovo ancora accanto qui alla stazione ferroviaria, in partenza per Kanyakumari.

Alappuzha e Kollam 2015, (Kerala meridionale)

25 novembre 2015

Oggi dopo una camminata per il centro e la spiaggia di Fort Cochin con Richard, alle 12.00 prendiamo il tuc-tuc per la fermata dell’autobus diretto ad Alappuzha. Troviamo una cittadina con l’aspetto ancora paesano: un ampio mercato che fiancheggia tutte le vie centrali e un tempio indù con un’infinità di statue lungo le pareti e sul portale. Lungo il canale che attraversa la città s’intravede una splendida statua di donna, nuda, con coda di serpente, attorniata da alcune grandi conchiglie scolpite.

Kerala, Alappuzha. La sirena sulla riva del North Canal.

Kerala, Alappuzha. La statua della donna serpente sulla riva del North Canal.

Più in su vediamo un’altra scultura simile, ma più piccola. Queste statue rimangono quasi nascoste da una recinzione in legno che protegge la strada dal canale. La spiaggia dista due kilometri dal centro secondo la guida Lonely Planet, ma gli autisti dei tuc-tuc ci dicono che si trova a 4 kilometri. Per cena esco da sola a cercare un ristorantino, ma la zona intorno all’hotel, pur centrale, è illuminata solo accanto alla vicina stazione dei pullman. Mi accontento di acquistare in una bancarella due polpette di verdura quasi secche e due banane fritte. Al rientro vedo una corriera ferma davanti ad un hotel apparentemente elegante e costoso. I turisti che scendono dalla corriera per accedervi sono tutti indiani e stanno scaricando dal bagagliaio del tetto un’infinità di borse, valigie, pacchi, pentole, coperte. Chiedo loro qualche informazione e i pochi che parlano l’inglese mi dicono che arrivano dal Panjiab e sono qui per visitare i templi induisti della zona.

26 novembre 2015

Mattinata sulla spiaggia di Alappuzha raggiunta con Richard in tuc-tuc.

Kerala meridionale, Alappuzha beach.

Kerala meridionale, Alappuzha beach.

Uno splendido mare e una sabbia dorata mescolata ad uno strato intriso di petrolio che s’appiccica ai nostri piedi annerendoli. Cornacchie, gabbiani e altri uccelli s’accostano alle onde nel momento in cui si ritirano lasciando loro afferrare i pesci che trasportano insieme all’acqua sulla riva. La spiaggia è quasi deserta in questo periodo. Lungo la fila di hotel che fiancheggiano la spiaggia si scorgono alcuni turisti seduti all’ombra ed altri appena arrivati in pullman sulla riva del mare. Un venditore ambulante si è appena precipitato sulla spiaggia a rincorrere i turisti e poco più in là si attivano le bancarelle che vendono cappelli, palloni, cibi fritti e bibite.

Kerala meridionale.Turisti sulla spiaggia di Alappuzha.

Kerala meridionale.Turisti sulla spiaggia di Alappuzha.

E’ ora di pranzo e l’unico ristorante aperto cucina soltanto omlette, patate fritte e bibite ad un prezzo più che raddoppiato rispetto al centro.

Alappuzha, l'entrata del Kidangamparamba Temple.

Alappuzha, l’entrata del Kalli Hamma Temple.

Verso sera usciamo a visitare il Kalli Hamma Temple: ci sono belle statue sul portale e in alto, ma all’esterno, lo spazio sottostante è utilizzato per i negozi. All’interno di un vialetto che conduce al tempio c’è un sacerdote, naturalmente che fa un attento controllo per non lasciar scattare foto. Qui c’è solo un’immagine della dea Kali racchiuso all’interno di una cappella.

Alappuzhha, dintorni. Le houseboats abitate.

Alappuzhha, dintorni. Le houseboats abitate.

Il giorno dopo, in mattinata prendiamo il traghetto per Kollam, attraversiamo i canali del fiume e arriviamo al molo sul lago Ashtamudi.

Alappuzha, mercatino del mattino accanto al tempio.

 Alappuzha, mercatino del mattino accanto al tempio.

Il percorso di otto ore è splendido e si svolge tra palmeti inclinati verso il fiume e piegati nelle più svariate posizioni, uccelli marini bianchi, neri, grigi e marrone, reti di pescatori con la loro enorme struttura, qualche barca con poche persone a bordo. Verso sera i movimenti delle barche e delle grosse reti della zona cominciano a muoversi per dar inizio all’intensa attività della pesca che inizia con il calar del sole. Percorriamo il fiume e i canali che attraversano i villaggi formati da casupole con tetti in lamiera o tegole simili a pianelle. L’uscio delle casette lascia vedere donne indaffarate a lavare i panni e a stenderli nello spazio che sta vicino al fiume, non lontano dalle piccole imbarcazioni lì accanto parcheggiate.

Kerala meridionale. La vita nei villaggi nel tratto tra Aloppazha e Kellan.

Kerala meridionale. La vita nei villaggi nel tratto tra Alappuzha e Kollam.

Percorriamo ancora il fiume talvolta infestato dalle piante di giacinto e di muschio che a tratti ricoprono la superficie dell’acqua. In un villaggio di case colorate si scorgono dei bambini grandicelli in divisa azzurra rincorrersi nel cortile di una scuola. A tratti si vedono gruppi di houseboats abitate dalla gente del posto, altre stanno lì, in attesa di essere contattate dalle agenzie di viaggio per i tour o per alloggiare i numerosi turisti che arrivano dall’occidente. Man mano che scendiamo le grosse strutture in legno per le reti da pesca s’infittiscono e si perfezionano con l’inserimento di carrucole e pali di acciaio. Da questa immensità di pali di sostegno e di reti si può immaginare come qui l’attività della pesca sia una risorsa basilare per l’attività della zona.

Kerala meridionale. Pescatori tra Aloppazha e Kellan.

Kerala meridionale. Pescatori tra Alappuzha e Kollam.

Guardo gli uccelli dal collo lungo che stanno appollaiati tranquilli sui pali delle strutture, a volte da soli a volte in gruppo, a volte sono neri, altre bianchi, o grigi o anche marroni. Tra grandi strutture per la pesca ci sono anche delle piccole barche di pescatori che si muovono poco prima del calar del sole mentre altri stanno seduti in gruppo sulla riva a riparare le reti.

Kerala meridionale. Tramonto verso Kellan.

Kerala meridionale. Tramonto verso Kollam.

Il mio pensiero non può non andare per un attimo ai due pescatori del Kerala uccisi per errore qualche tempo fa da due fucilieri italiani che li hanno scambiati per pirati. Arriviamo in un porto con diverse grosse imbarcazioni in fase di restauro, probabilmente in preparazione dell’alta stagione ormai imminente. Sulla nostra imbarcazione ci sono solo turisti, alcuni soli, altri in coppia, altri in gruppo. Ci fermiamo per il pranzo in un ristorante dal menù fisso: riso scotto e salse locali serviti su un foglio di carta verde, in sostituzione della foglia di palma tradizionale. Il gruppo di turisti australiani scende nei pressi dell’ashram della guru Amma, la santa degli abbracci: il Mathe Amrith Ananda May Mission.

Kerala meridionale. Villaggio tra Alopphaza e Kellan.

Kerala meridionale. Villaggio tra Alapphuza e Kollam.

Prima di arrivare a Kollam il battello fa un’altra sosta in un ristorante per il cjai con polpetta. Man mano che ci avviciniamo a Kollam spiccano bianche, o gialle o grigie, numerose chiese che si ergono con le loro guglie tra il verde delle palme e l’azzurro del cielo specchiandosi nelle acque limpide del fiume.

Kerala meridionale, nei pressi di Kellan. Pescatori al tramonto.

Kerala meridionale, nei pressi di Kollam. Pescatori al tramonto.

Guardo affascinata gli uccelli appoggiati sui pali che paiono godere del fascino del tramonto: stanno immobili, in silenzio, ad osservare.

Kochin 2015, (Kerala meridionale)

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Fortcochin. Sullo sfondo le antiche strutture cinesi per la pesca ancor oggi utilizzate.

22 novembre 2015

Sono a Kochin, nel quartiere di Ernakulam. E’ domenica: riposo un’oretta all’albergo e poi mi dirigo verso il traghetto per Fortcochin. Il tratto di mare è popolato da numerose garzette bianche e da una moltitudine di piante grasse che galleggiano, insieme alle immondizie, tra le onde. Avvicinandoci a Fortcochin si nota una chiesa bianca e gialla e tante case e palazzetti vecchi e con i tetti a spiovente. Lì sul molo alcuni uomini e dei ragazzini stanno pescando nelle acque luride. Sulla riva ricompaiono le caprette che qui hanno dell’erba da brucare. Ce ne sono di bianche , bianche e nere, grigie, marrone e convivono tranquillamente insieme alle cornacchie della zona. Lungo la stradina che si snoda dopo il porticciolo si incrociano diverse donne velate. Più avanti stanno arrivando gruppi di uomini e donne vestiti a festa: stanno andando ad un matrimonio che si sta svolgendo laggiù, nel palazzetto musulmano. Lungo la strada mi fermo in diverse chiese cattoliche: in una stanno facendo un servizio fotografico ad una coppia di sposi. All’esterno, nel cortile accanto, è stato montato un tendone sotto il quale si svolgerà il pranzo di nozze. Qui, anche nelle chiese, vige l’usanza di togliersi le scarpe per entrare. Vado poi al Dutch Palace, un edificio costruito dai portoghesi nel XVI secolo e restaurato dagli olandesi nel 1663. Dei cartelloni alle pareti ricostruiscono la storia della città di Kochi: sei anni dopo la citazione del cinese Sai Lor la città viene menzionata da un viaggiatore italiano, Niccolò Da Conti (Niccolò Da Conti è stato un esploratore e mercante veneziano che viaggiò in India e nel Sud-Est asiatico all’inizio del XV secolo). Siamo nel 1440, ma lo Stato del Kerala risale al 1102. Il Palazzo contiene numerosi ritratti dei marajà succedutisi nei vari periodi della storia. Nelle stanze ci sono degli splendidi affreschi rappresentanti delle scene mitologiche, ma l’illuminazione dal basso non consente di ammirarli nella loro totale bellezza. Le esposizioni continuano con numerose portantine regali, dei manichini con addossi gli abiti reali, degli oggetti di bronzo come un misuratore per anelli, un contenitore per betel (preparato stimolante ricavato da piante locali tuttora molto in uso), pettini, forbici, oggetti in acciaio per il bagno e per contenere degli olii. Ora compaiono delle vecchie foto dove ci sono diverse donne di corte: una donna in sari con il marito vestito con pantaloni e giacca e in testa un turbante, una giovane principessa, un gruppo di donne reali in sari. Spicca un manichino con un abito bianco del tardo 18° secolo composto da due pezzi: una gonna e un top orlati da una striscia dorata. L’abito veniva indossato solo in particolari cerimonie. Nelle vetrinette laterali sono esposti i gioielli: collane, orecchini, bracciali rigidi. Alcune foto documentano l’uso di portare o non portare il top lasciando il seno scoperto. Lascio il palace e arrivo nella vecchia Cochin: visito il quartiere ebraico e la sinagoga che risale al 1568. I negozianti del quartiere mi dicono che ci sono moltissimi turisti occidentali, ma che non acquistano nulla. Nei dintorni della sinagoga non mancano le moschee ed i templi indù. Un guidatore di tuc-tuc mi informa che qui a Fortcochin i musulmani rappresentano il 10-20% della popolazione, i cattolici il 5%, gli induisti la percentuale più alta.

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Fortcochin, domenica 22 novembre. La spiaggia verso sera.

Torno verso il porticciolo e proseguo dalla parte opposta: arrivo ad un lungomare affollatissimo di turisti per lo più indiani. Donne, uomini e bambini passeggiano lungo il percorso cementato, altri sono già scesi sulla spiaggia e aspettano l’arrivo delle onde per tuffarsi e lasciarsi trasportare dalla loro spinta, altri scattano fotografie o effettuano riprese video. Sullo sfondo si distinguono le sagome delle navi e due grossi serbatoi di gas galleggianti. Tutte le donne hanno il velo sul capo, a volte nero a volte colorato. Mi siedo in un ristorantino sul lungo mare e chiacchiero a lungo con il proprietario, il cuoco ed un altro ragazzo che mi propone il nome di una Home stay. Sono tutti musulmani e Najeeb, il cuoco, laureato in sociologia, mi aggiorna sulla situazione del terrorismo in Francia ed in Mali dicendomi che l’Islam è una religione contraria alla violenza e che quanto è successo è manovrato dalla mafia internazionale che agisce per tutelare i suoi interessi economici e non solo.

23 novembre 2015

Questa mattina ho cambiato hotel: con i due zaini sulle spalle ho preso la barca per Fortcochin per stare qualche giorno là, in quella zona così animata anche se un po’ troppo turistica che ho visitato ieri. Alla partenza del traghetto da Ernaculam incontro un viaggiatore inglese, Richard, di Londra. Ha 47 anni, fa l’autista di corriere e sta viaggiando da settembre. Prendiamo il tuc-tuc assieme per cercare una home stay anche se io mi sento impegnata con i ragazzi musulmani incontrati ieri. Richard mi convince a restare con lui per dividere le spese, ma per quanto riguarda la camera preferisco averla separata. Nella mattinata mi adeguo alla scelta di un giro in tuc-tuc per Fortcochin: due soste per visitare i negozi che conosce il conducente, una fermata alla St. San Francis Church costruita nel 1503 che rimane la chiesa europea più antica in India. All’interno si trova la tomba di un viaggiatore portoghese, Vasco da Gama, morto nel 1524 a Kochi, ma i suoi resti sono stati portati a Lisbona. Intorno alla basilica spiccano diverse scuole cattoliche. Più tardi, ripassando di lì, incrociamo diverse bambine in bicicletta e a piedi, vestite di azzurro e bianco e con il velo sul capo. Sono musulmane, ma frequentano una delle scuole cattoliche locali.

Koki, Fortcochin. L'antico sistema di azionamento delle rete nelle barche da pesca cinesi.

Koki, Fortcochin. L’antico sistema di azionamento delle rete nelle barche da pesca cinesi.

Un altro stop sul molo dove stanno le antiche reti usate dai pescatori cinesi dal 1350 al 1450. Le reti, ancora oggi in uso, vengono manovrate con un sistema di pesi e contrappesi bilanciati con delle grosse pietre legate con delle corde ai pali.

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Fort Cochin, domenica 22 novembre 2015. La spiaggia.

Qualche cornacchia va ad appoggiarsi tranquilla lassù in alto, se ne sta un bel po’ a guardare e poi vola via per venire a posarsi qui accanto. Un’altra sosta in auto risciò più giù, dove c’è la spiaggia oggi quasi deserta: c’è solo qualche pescatore che entra in acqua vestito a gettare le reti. Cosa ci sarà da vedere ancora? Il cimitero olandese, ci dice il driver, consacrato nel 1724, che contiene delle vecchie tombe dei conquistatori europei morti qui a causa della malaria.

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Kochi, Fortcochin, sera. Un momento dello spettacolo tradizionale del Kerala.

Ci fermiamo per una chiacchierata in un’agenzia di viaggi per ascoltare le proposte turistiche della zona, facciamo un salto al Greenix Ventures per acquistare i biglietti dello show di stasera e concludiamo il giro in tuc-tuc.

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Kochi, Fort Cochin, sera. La truccatura sulla scena per lo show kathakali.

Lo spettacolo della sera è bellissimo e consiste in un insieme di canti, musiche e danze tradizionali del Kerala: il Kathakali Show.

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Kochi, Fort Cochin, sera. Il trucco del volto per lo spettacolo appena completato.

Quando usciamo, riusciamo a malapena a tornare in hotel poco prima di un gran diluvio. Trascorro una notte tormentata dalle feroci, infinite zanzare entrate dalla porta della camera che ho tenuto aperta con la luce accesa fino a tardi.

24 novembre 2015

Ho aderito all’iniziativa proposta da Richard di andare ad un’escursione in barca nei villaggi sul fiume Moovatt Upuzhr, una zona che dista 30 km da Fortcochin.

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Kochi, dintorni. Villaggi e vita quotidiana sul fiume Moovattupuzhr.

L’escursione è rivolta ai turisti occidentali che sono numerosi. Sulla mia barca ci sono: delle ragazze spagnole, un israeliano, due ragazzi neozelandesi, una giovane coppia di Monaco, delle coppie inglesi, un anziano bosniaco.

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Fortcochin, lavoranti del lavatoio.

Dall’albergo arriviamo al barcone dopo un’ora di auto. In questa zona sia sulle auto, sia nei negozi e negli hotel espongono le immagini riferite alla religione cattolica in modo quasi simile agli induisti. Il lungo percorso in auto ci mostra una zona fatta di case, scuole e chiese quasi anonimi. Qualche palma si erge insieme a degli alberi che paiono acacie. Per la strada camminano gruppi di bambine con la divisa a quadretti, a volte sul bleu, a volte sul rosso, ma anche verdi o tutte bianche. I maschietti indossano pantaloni e camicia azzurra o bianca su pantaloni blu o grigi.

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Fortcochin. Stenditoio del lavatoio.

Arriviamo in auto al villaggio di Kottayam e in barca raggiungiamo un laboratorio dove frantumano le conchiglie mescolandole con carbone e cuocendo poi il tutto ad alta temperatura. Il prodotto finale viene trasportato in sacchi e utilizzato in medicina, in agricoltura, nella carta stampata per quotidiani e nell’industria dell’abbigliamento. Il secondo laboratorio che visitiamo sta in un altro villaggio e produce cordami torcendo in modo quasi manuale la paglia ricavata dal cocco. Questo prodotto viene utilizzato anche nella fabbrica di calzature. Percorrendo il fiume Moovattupuzhr a momenti si odono delle voci di donne che rimangono nascoste dalla vegetazione; i loro discorsi si mescolano al canto di mezzogiorno del muezzin. Lungo il percorso incrociamo qualche barca a motore, qualche altro battello di bambù carico di turisti come il nostro, alcune case con i bucati stesi e le auto parcheggiate accanto. La guida ci racconta che fino a 30 anni fa non c’erano strade e le famiglie raggiungevano le abitazioni soltanto con le barche che venivano lasciate nel canale. Ora non ci sono più le barche che sono state sostituite dai parcheggi di auto sulla terra ferma. Anche le famiglie fino a una trentina di anni fa erano molto numerose in quanto tutti i discendenti rimanevano nella stessa casa ad abitare. Ora rimangono soltanto le famiglie dei figli maschi.

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Fortcochin, novembre 2015. Incontro in un ristorantino.