Varanasi, 5 marzo 2019

Sono riprese le puje tradizionale, quelle dedicate ai defunti e che lasciano le parenti donne in disparte.

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Puja per gli antenati lungo i ghat.

Nella zona che va dal Manasarowar al Kedar ghat se ne stanno celebrando diverse. Sono quasi le 11:00 e si vedono alcuni gruppi di indiani ancora immersi nel fiume o appena usciti dall’acqua che si stanno asciugando. Sulla scalinata del Kedar ghat si vedono sventolare dei bellissimi sarees tenuti stretti dalle mani di alcune donne.

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Kedar ghat in tarda mattinata. 5 marzo 2019.

Ci sono diversi stranieri che camminano lungo i ghat oggi, molti più dei giorni scorsi. Tra le tende mi sembra di scorgere degli spazi vuoti, in particolare quaggiù, al Mahanirvani e al Shivala ghat. La porta dell’ashram è aperta, ma quando salgo, insieme ad un ragazzo di Cochin, nel Kerala, poco prima delle 13:00, c’è soltanto del riso asciutto e del cjapati. Il dhal e le altre salse sono terminate.

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La Prasada, il cibo santificato offerto all’Harishchandra ghat.

Ritorno verso Bangali Tola convinta di andare a pranzo al Monalisa restaurant anche oggi. All’ ingresso dell’Harishchandra ghat c’è più di una fila di adulti e bambini che stanno pranzando seduti su una striscia di tela srotolata. Un sacerdote e altri volontari stanno distribuendo una specie di zuppa, composta da riso mescolato al dhal, prendendolo dai secchi e versandolo in ogni piatto di foglie. Tutti mi invitano a sedermi e a pranzare con la “Prasada,” il cibo sacro cucinato nel piccolo tempio di Shiva, qui all’Harishchanda ghat.

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Distribuzione della Prasada, il cibo sacro, all’Harishchandra ghat.

Guardo le persone adulte, di ogni età, ed anche i numerosi bambini seduti con le gambe incrociate che già stanno mangiando con le mani. Gironzolo intorno e rispondo agli inviti con un: “No, no, thank you!” Poi, mi dispiace rifiutare quello che mi propone questa gente, con tanta generosità, e mi siedo accanto a loro. Dalla borsa prendo il cucchiaio che ormai porto sempre con me e pranzo con questa squisitissima “Prasada”. Riprendo il cammino verso la guest house.

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Bambino di una venditrice di collane nei pressi dell’Harishchandra ghat.

Attraverso l’Harishchandra ghat invaso dal fumo delle pire che stanno bruciando vicino al percorso. Da una gabbia di ferro, tra la legna che brucia, si scorge ancora il volto del defunto. Più su, da una tenda esce della musica, mentre in un’altra c’è un sadhu che dorme profondamente.

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Benedizione tra le tende.

Nella maggior parte delle tende o all’esterno di esse, ci sono dei gruppi di sadhu, quasi tutti nudi, seduti intorno al focolare a chiacchierare e fumare la pipa collettiva. Il fuoco è acceso dappertutto ed è alimentato con lo sterco delle mucche o dei bufali essicati.

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Gruppi riuniti ntorno allo sterco che brucia.

La temperatura è mite al sole, più fresca all’ombra e ancora fredda durante la notte. Il grande caldo non è ancora scoppiato ed è in ritardo rispetto agli altri anni. Poco prima del Chousati ghat incontro un indiano con un giubbino nero addosso. Mi chiede qualcosa, ma lo capisco soltanto quando mi siedo sulla gradinata e, lui, insieme ad un gruppo di altri uomini mi chiede di fare delle foto insieme. Sono di Nashik, nel Maharashtra, e quando mi salutano uno di loro mi tocca i piedi, cosa che mi succede ormai, quasi tutti i giorni!

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Sadhu che dorme, in una tenda.

All’ora del tramonto torno a Bangali Tola e nel piazzale rivedo il mio vecchio Black baba che mi risponde con qualche imprecazione quando lo saluto. Al Dashashwamedh ghat c’è anche stasera una marea di gente che sta aspettando lo spettacolo serale. Torno al Chousati ghat: qui c’è l’indiano con il grosso gallo che avevo già incontrato qualche sera fa. Lo sta allenando per il combattimento fra galli.

Il gallo Kalu e il suo padrone.

L’addestramento del gallo da combattimento al Chousati ghat.

L’uomo, mi dice, orgoglioso, che, il gallo si chiama Kalu, mentre lo fa correre su e giù per le scale. Mentre sto guardando le corse di Kalu, sento parlare in italiano alle mie spalle. Sono due giovani di 31 anni, uno di Torino e l’altro di Milano. Si sono incontrati per caso qui a Varanasi e stanno trascorrendo diverso tempo insieme ora. Quello di Torino è operatore meccanico ed ha frequentato tre anni di un Istituto professionale. Il ragazzo di Milano, invece, si è iscritto prima alla facoltà di agraria e poi a scienze politiche, ma dopo pochi esami ha abbandonato l’università. Quest’ultimo, lavorava nell’ambito della pubblicità e si è appena licenziato da un posto fisso. L’altro, appena rientrerà in Italia, riprenderà a lavorare nel gruppo motociclistico che fa capo a Valentino Rossi.

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